Il bel René: «Preferisco la morte al carcere a vita»

IN AULA Ieri è stato invitato in una scuola a parlare a dei ragazzi. «Chi meglio di me può essere un educatore?»

«Non sono venuto qui per insegnare niente a nessuno, ma per dare testimonianza di una vita disastrata che mi ha portato in carcere da 39 anni a questa parte». Renato Vallanzasca, 60 anni a giorni, autore di 4 sequestri di persona, 4 omicidi, 70 rapine e svariate evasioni: dal banco degli imputati che lo ha condannato a 260 anni di carcere, alla cattedra di un’aula magna. Quella dell’istituto comprensivo Pinchetti di Tirano dove ieri è stato ospite dell’assemblea degli studenti.
Una presenza la sua che ha creato non pochi grattacapi alla scuola: lettere anonime, sopralluoghi della Digos e genitori imbufaliti per il messaggio «pedagogico» che l’ex bandito della Comasina avrebbe potuto lanciare ai ragazzi. A loro il «Bel René» ha raccontato brandelli della sua vita tra mille imbarazzi e frasi emozionate, nonostante il tema - devianza giovanile, certezza della pena, ergastolo - lo vede particolarmente ferrato.
Parla con voce pacata e i suoi occhi sembrano aver dimenticato la strafottenza dello sguardo che negli anni Settanta bucava il video in bianco e nero. Accanto a lui il gip del tribunale di Sondrio Pietro Della Pona, e Cecco Bellosi, l’ex brigatista di Colonno oggi responsabile della comunità di recupero de «Il Gabbiano». «Mettiamola così: sono qui per risarcire la società, per mettere in guardia soprattutto i giovani dai rischi che oggi possono essere più estesi di quelli che potevo trovare quando ero ragazzo io che non avevo la droga sotto casa». Di pentimento e di perdono non ne vuole sentire parlare neanche quando il rappresentante degli studenti gli rivolge due domande che suonano come mazzate: «Perché si definisce ladro ma non omicida? E perché non si mette nei panni dei familiari delle vittime?». «Qualsiasi cosa dica in pubblico verrebbe strumentalizzata - ha risposto -. Nella mia posizione il pentimento lo vivrei come un modo per rubacchiare qualche agevolazione in più, qualche straccio di perdono. E il perdono, se mai si potesse dare, è personale. Sono quello che ha pagato di più in assoluto. Sono la prova provata - dice - che in Italia la certezza della pena esiste. E all’ergastolo preferisco la pena di morte. La mia è una non vita o una vita a metà». Di grazia non vuole parlare. Quella che ha chiesto sua madre a Ciampi è stata respinta. «Non so se me la merito. Poi c’è il fatto che io di santi in paradiso non ne ho. Se mi venisse data la possibilità questo Vallanzasca sarebbe utile alla società civile». Perché il «nuovo Vallanzasca», quello che lascia il carcere per andare a lavorare (dall’8 marzo scorso), che viene chiamato in causa dal giudice per la sorveglianza quando c’è un ragazzo difficile, che viene invitato - come accaduto ieri - a parlare con i ragazzi, «può dare molto alla società. Posso fare molto più di qualsiasi altro educatore con cui certi ragazzi “difficili” hanno a che fare.

Mi vedono come la Madonna, pendono dalle mie labbra e a loro dico “questa qui è la mia vita, penso di avere sbagliato qualcosa... ti pare giusta?”». E poi: «La libertà per uno come me? Correre in un prato, bere un caffè quando ne ho voglia e con chi ne ho voglia e fare l’amore quando mi va».

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