Bennato: ma l’esame vero è riuscire a farsi ascoltare

Nel 1972 si guadagnava da vivere nella capitale inglese: «Con il mio tamburello a pedale cantavo pezzi di Dylan»

Paolo Giordano

Esame o no, anche oggi, che ha 57 anni suonati, là ci tornerebbe di corsa. Oxford Street, fermata della metropolitana: Edoardo Bennato c’era nel 1972, una chitarra, la voce e un cappello posato davanti ai passanti che filano via verso il binario. Insomma, tornerebbe a fare il busker a Londra, il suonatore ambulante, quello che tacabanda facciamo baldoria ma per favore datemi due penny. «È stato allora - racconta poco dopo aver suonato qui in piazza del Duomo a Milano - che ho inventato il mio tamburello a pedale, era un modo per essere autosufficiente, per sentirmi indispensabile almeno a me stesso».
Il tamburello a pedale Bennato se lo porta dietro ancora, suonandolo ogni volta dal vivo per ricordare che busker magari non si nasce ma poi si diventa e lo si rimane per sempre. «In Italia in quel periodo ero disperato, mi sentivo ai margini, perciò decisi di partire per Londra: là erano all’avanguardia e io istintivamente sono innamorato del futuro». Come con Pinocchio, Peter Pan, il Pifferaio Magico, come con tutti i personaggi che in trent’anni ha rivestito con le sue canzoni, Bennato cerca sempre nel futuro quel lieto fine che manca alla realtà. E la sua trasferta da Napoli a Londra, in quell’anno di domeniche a piedi ed economia in ginocchio, era la fuga inevitabile per ogni happy end. E allora immaginatevelo, questo Capitan Uncino della canzone, mentre strimpella tra un treno e l’altro, abbozza gli accordi, inalbera la voce e poi magari riparte daccapo: «Facevo pezzi di Donovan, soprattutto, e di Bob Dylan. Nei giorni di buona, saccheggiavo anche il repertorio di John Hammond che è sempre stato il mio ispiratore. Mi mettevo lì e mica mi interessava se la gente lasciava qualche spicciolo: era il profumo della novità a stordirmi, e il sentirmi come se fossi a scuola». Ma più che in mezzo ai compagni, lui voleva fare il solista: «Lo sono sempre stato, anche se oggi canto Notte di mezza estate in coppia con Alex Britti. Quand’ero a Londra mi vestivo, prendevo il tamburello, l’armonica, la chitarra, il kazoo che è una specie di sax, e scendevo sottoterra. Dopo qualche mese, sono risalito e al mio ritorno in Italia le cose hanno iniziato a girare bene. Diciamo che riuscii a farmi notare dall’intellighenzia: e diventai il portavoce dell’insoddisfazione generale». Ma là sotto ci tornerebbe perché «lì ho imparato la regola più importante per chi fa il mio mestiere: le canzoni diventano belle solo quando riesci a farle ascoltare. Puoi anche aver composto il brano più accattivante, ma se non lo sente nessuno vuol dire che non esiste proprio. Questo è il vero esame da superare».

E allora Bennato, ventitré anni fa, in metropolitana si prese la lode «perché la gente si fermava a crocchi. E allora mi trasferii davanti ai cinema: lì i one man band come me suonavano per la gente in coda, che è un modo perfido di esibirsi: da lì nessuno se ne può andare».

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