Gianni Pennacchi
da Roma
Colore dominante il bianco ingiallito, plexiglas e plastica glaciale in abbondanza, giornalisti irrigiditi e i due sfidanti pure, si sono accese le telecamere sul confronto tanto atteso e pareva una sala gessi. Silvio Berlusconi e Romano Prodi sono andati avanti così per unora abbondante, a telecamere fisse e in un duello verbale a distanza siderale, pur se stavano allo stesso tavolo. Tanto valeva intervistarli come fanno le Iene, che pongono le stesse domande ma in luoghi diversi affinché uno non senta cosa risponde laltro, e poi mandano in onda le risposte accoppiate. Sarà stato il momento inconscio della verità, ma il giudizio più calzante lo ha dato lo stesso Prodi poco dopo le 22, a metà trasmissione, vaticinando che probabilmente «saranno già andati a letto metà dei nostri ascoltatori».
E il bello della diretta, no? E delle regole da separati in casa imposte e pretese dal leader dellUnione, così rigide e imbriglianti da far sembrare eterni e lenti anche i trenta secondi delle domande, figurarsi le risposte che sembravano sempre rimbalzare dalla luna. Cè stato sì, un momento in cui la passione e la tensione sembravano doversi accendere, allorché il premier è partito in quarta per ribattere allavversario che minimizzava le grandi opere, «mille piccoli cantieri aperti» aveva detto. E Berlusconi, prima di rivendicare i meriti dellazione di governo, aveva bollato accusando: «Demagogia pura, ribaltamento totale della realtà!». Poteva nascerne uno scambio vivo e reale, che costringesse i due contendenti ad uscire dai binari preordinati e dallingessatura, ma il divieto di interloquire, poi il rispetto dei tempi delluno, quindi la rigida replica dellaltro, «lei ha sforato di dieci secondi», ecco far scendere il termometro al piatto. Ci ha riprovato nuovamente il leader della Cdl, «che spudoratezza!» replicava al contendente, ma dovendo riempire i due minuti e mezzo che gli spettavano di diritto e di dovere ecco che laltro aveva il tempo di raffreddare il clima e riprendere a sua volta come se parlasse da solo.
Colpa di Clemente Mimun che, in apertura di trasmissione, ha dato lettura delle regole da rispettare nel confronto sedicente allamericana? No, no affatto, perché quelle regole erano state elencate minuziosamente e ordinate da Silvio Sircana, lo stratega della comunicazione prodiana. Colpa di Marcello Sorgi, ex direttore della Stampa ora editorialista dello stesso quotidiano, nonchè di Roberto Napoletano, neo direttore del Messaggero? Forse un po, le domande non erano certo fra le più eccitanti per il pubblico. Colpa di Berlusconi che si è presentato forse un po teso allappuntamento, ma certamente preparato? Non proprio, perché ha provato in tutti i modi a sbrigliarsi e a comunicare. Ma cera poco da fare, perché questo recinto dellOk Corral era perfettamente studiato, costruito, misurato sui tempi - o meglio dire sulle lentezze - e leloquio soporifero di Romano Prodi.
Surreali sembravano anche le penne affidate e scelte dalla Rai. «Imparziale» come sempre, anche nella fornitura della cancelleria per gli appunti. Berlusconi almeno usava la penna per prendere appunti di quel che diceva lui e lo stesso Prodi. Romano invece, usava la biro come un cacciavite, giusto per tenere impegnate le mani. Tutto appariva scontato, anche le cravatte. Tutte uguali, salvo quella di Mimun: che ci fosse un codicillo segreto anche per gli accessori?
Chi si aspettava un Cavaliere dassalto, probabilmente è rimasto deluso. In un confronto normale se il premier si fosse sentito dire «ne riparleremo quando sarò presidente del Consiglio e ci sarà lo scambio di consegne con il dottor Letta», avrebbe fatto i fuochi dartificio. Così non è stato perché non solo il volto gli era oscurato, ma anche il microfono era spento. Ancora un sussulto, sulle coop rosse che sembravano aver ridato al premier voglia di attaccare lavversario, ma anche quella sortita sè smorzata, non ha avuto effetto perché dallaltra parte cera un muro di gomma. Per quattro volte il presidente del Consiglio ha rimproverato il «ribaltamento della realtà» da parte dellavversario. Ma sembrava un vano ping ping e anche quando Prodi è sembrato arrabbiarsi, rivendicando «io non ho danti causa», quasi ad affermare dessersi affrancato dalla tutela di DAlema, Fassino e Rutelli, prima che laltro potesse replicare il tempo era scaduto. Ancora un guizzo, sullipoteca di Bertinotti rinfacciata da Berlusconi. «Bertinotti ha detto che si atterrà al programma e Bertinotti è uomo donore», sè difeso Prodi. Sì, uomo donore, come Bruto secondo Shakespeare.
Unora di dibattito sì, ma di mute parole.
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