Berlusconi: tre punte ma sono sempre io il capitano del Polo

Intervista di «Liberal» al premier: «Dopo aver vinto le elezioni, avremo un altro traguardo da realizzare: la costruzione di un solo grande partito dei moderati e riformisti. Spero che nasca nel 2006»

Presidente Berlusconi, lei chiede agli italiani di confermarle la fiducia sostenendo che «tutti i leader che hanno segnato una svolta profonda nella storia del loro Paese hanno realizzato il loro progetto in almeno due mandati: Kohl, Thatcher, Reagan, Aznar, Clinton, Blair». Non teme che possa sembrare un modo elegante di mascherare le difficoltà incontrate nel primo mandato…
«Non lo temo affatto. Vede, i cittadini italiani hanno la memoria lunga. Ricordano tutti benissimo che, quando nel 2001 siamo stati mandati al governo, non esisteva un solo campo della vita pubblica che non avesse bisogno di radicali interventi di riforma. Non uno: dal fisco al lavoro, dalle infrastrutture alla scuola, dalla giustizia alla sicurezza. Tutti i tessuti vitali del Paese erano logori, a un passo dal collasso. Abbiamo ricevuto in eredità una casa che stava letteralmente andando in rovina. Perciò siamo stati costretti a ricostruirla dalle fondamenta. Quasi come dopo una guerra. Ed è proprio questa la grande impresa che ci ha impegnato nei primi cinque anni. (...) Quale buon padre di famiglia lascerebbe a metà la costruzione di una nuova casa, rischiando di mandare in malora il lavoro già fatto?».
Negli ultimi tempi si è molto parlato sui media di «tramonto del berlusconismo», tesi ovviamente cavalcata dall’opposizione (ma a volte usata anche da qualche esponente della maggioranza) (...).
«Le risolvo subito il principale problema: io mi sento in forma smagliante. Semmai è Prodi ad aver bisogno di una cura ricostituente: mi sembra infatti che sappia trasmettere al Paese solo mestizia, tristezza, rassegnazione, assenza di energia... Se poi dalle persone passiamo ai progetti le cose non cambiano: infatti noi siamo ancora all’alba del nostro lavoro di cambiamento dell’Italia. Le idee di Prodi e della sinistra, quelle sì invece, sono al tramonto e anche da un bel po’ di tempo!».
Cos’è stata per l’Italia l’era Berlusconi? Come è cambiato il nostro Paese nell’ultimo decennio?
«(...) Primo fatto: l’Italia moderna si caratterizza per la democrazia dell’alternanza? Bene, questo grande traguardo, apprezzato e valorizzato ormai da tutti, si deve a noi. (...) Si era programmato e si stava preparando un vero e proprio regime, altro che alternanza! (...) Secondo: per la prima volta in Italia nasce un’alleanza di centrodestra, la più grande novità politica del dopoguerra. (...) Il risultato è stato il determinarsi di una vera e propria rivoluzione politica».
Quale?
«Quella di un partito, Forza Italia, e di uno schieramento, la Casa delle libertà, nei quali laici e cattolici possono finalmente convivere superando antichi pregiudizi».
Ma anche nel centrosinistra convivono cattolici e laici…
«Sì, ma l’unica cosa che li lega davvero è, appunto, l’anti-berlusconismo. Per il resto nulla li unisce. (...) La qual cosa, tra l’altro, induce il centrosinistra ad avere un atteggiamento strumentale sia nei confronti della religione che della Chiesa. Quando dal Vaticano giungono posizioni che essi pensano di poter “usare”, come ad esempio al tempo dell’intervento in Irak, si nascondono tutti dietro le bandiere papaline, non rinunciando però a esibire le foto di Saddam. Quando invece la Chiesa interviene contro l’invasione della tecnologia sul corpo umano o contro le unioni tra gay allora gridano all’ingerenza e il Vaticano si trasforma in una mostruosa macchina di negazione della laicità dello Stato. Non è serio, direi anzi che tutti gli elettori cattolici dovrebbero vergognarsi di questo atteggiamento e per primi dovrebbero capirne la strumentalità. Noi le posizioni della Chiesa le rispettiamo. I valori cristiani sono grande parte dei nostri valori: per cui non abbiamo bisogno di “usarli” strumentalmente».
La storia dell’ultimo decennio parla a suo favore. A questo punto si impone un’analisi spassionata degli anni di governo.
«Perché spassionata? Io vorrei invece farla molto appassionata…».
Spassionata stava per obiettiva…
«Ci mancherebbe. Gli italiani sono un popolo maturo, non ci stanno mica a farsi raccontare bugie o storielle di parte. È anche per questo che vinceremo le elezioni: perché si capisce lontano un miglio che i nostri avversari raccontano troppe falsità...».
Cominciamo dalla politica estera. Prodi dice che lei ha fatto solo la politica delle «pacche sulle spalle».
«Diciamo che è sempre meglio per l’Italia saper suscitare simpatia piuttosto che presentarsi a ogni riunione internazionale con quell’aria perennemente afflitta da bulldog esausto. Comunque Prodi non sa quel che dice (...). La gelosia è legittima anche in politica e anche per Prodi: ma, lo ripeto ancora una volta, quando è in ballo l’interesse nazionale, essa si trasforma in sentimento antipatriottico. Il che non danneggia Berlusconi, ma l’Italia. Vuol dire che il leader dell’Unione non fa il tifo per l’Italia…».
Quali sono le qualità che, a suo parere, vengono oggi riconosciute sulla scena internazionale al governo italiano?
«Tre sopra le altre: abbiamo parlato con una voce sola, abbiamo sempre mantenuto la parola data e non abbiamo mai, com’ho detto, rifiutato il dialogo con nessuno. (...) La coalizione di Prodi non è in grado di garantire la tenuta delle nostre storiche alleanze e di un’univoca linea di politica estera. Essa sì, davvero, non è affidabile sul piano internazionale. Basta ricordare ciò che è avvenuto di recente. Hanno manifestato sempre contro Bush e mai contro Saddam. Hanno parlato di “resistenza irachena” giustificando così la guerriglia e il terrorismo (...)».
Cosa risponde a chi dice che è stata la guerra in Irak a permettere al terrorismo di crescere e di fare nuovi proseliti nei Paesi islamici?
«Che scambiano la causa con l’effetto. La verità è che l’evoluzione della situazione irachena sta determinando la più grande sconfitta del terrorismo e delle sue opzioni strategiche. (...) Unire tutti i moderati per isolare il fanatismo e battere il terrorismo: è questo il compito storico della nostra generazione. Che, tradotto in altre parole, significa battersi per affermare la libertà in tutto il pianeta. Ma come può non dico riuscire ma semplicemente impegnarsi in questa impresa una coalizione come l’Unione che è divisa tra un’area tendenzialmente moderata, estremamente minoritaria, e un’area ispirata dal fanatismo?».
Allude al caso Ferrando?
«Magari il problema fosse quello di una singola persona. C’è anche il caso del disobbediente Caruso o quello dell’ex dirigente palestinese Ali Rashid che giudica Sharon, testualmente, “un criminale”. Ma c’è di più. In realtà Ferrando o Caruso o Rashid sono solo la punta di un iceberg che coinvolge il pensiero distorto di tanti militanti di sinistra. Da questo punto di vista non aver candidato Ferrando è stata in parte un’ipocrisia perché egli propone giudizi condivisi da molti. Non era certo da solo il signor Ferrando nelle manifestazioni in cui si inneggiava a Saddam, alla strage dei nostri militari a Nassirya e si bruciavano le bandiere americane. Purtroppo a sinistra, su questi temi, doppiezza e ambiguità si sprecano: persino in persone che, avendo ricoperto incarichi istituzionali, dovrebbero esserne immuni. Mi ha colpito negativamente il fatto che recentemente D’Alema abbia messo sullo stesso piano la strage di Nassirya e il presunto uso del fosforo a Falluja da parte degli americani, ovviamente guadagnandosi il giorno dopo le simpatie dei no global. Mi domando se sia lo stesso D’Alema che qualcuno vorrebbe ministro degli Esteri. Esibendo questa doppiezza non si può governare un grande Paese occidentale».
Passiamo al tema dell’Europa. Indichi la più grande differenza tra la sua politica e quella di Romano Prodi.
«Prodi vuole continuare la politica di sempre dell’Italia in Europa, quella di totale appiattimento sulle posizioni di Francia e Germania. Io ho lavorato e lavoro, invece, per un nuovo protagonismo italiano che meglio risponda da una parte ai nostri interessi e dall’altra a fare dell’Europa un protagonista della politica mondiale (...). Prodi vive in un piccolo mondo antico che non esiste più».
C’è chi l’accusa di non aver pigiato l’acceleratore «liberale» delle riforme e chi, al contrario, di aver penalizzato la tenuta «sociale» del Paese.
«Contro di noi viene indirizzata ogni genere di accusa, anche quelle più contraddittorie tra loro. Tutti sanno che l’Europa è stata investita da una delle stagnazioni più gravi della storia della sua economia: è stato perciò obbligatorio per noi far prevalere, nella nostra azione, le politiche di “difesa sociale” del Paese. Non potevamo, mentre la gente faceva i conti con l’impatto dell’euro (malpreparato e malgestito, lo ricordo, da Prodi) e con la crisi delle esportazioni, pigiare l’acceleratore “liberale” come avremmo voluto. Il primo dovere che abbiamo sentito è stato quello di difendere le tasche degli italiani. Ed è esattamente quello che abbiamo fatto. Il nostro è stato innanzitutto un governo di “difesa sociale” dell’Italia. (...) Con il mio governo, oltre un milione di persone sono uscite dallo stato di povertà».
Affrontiamo un capitolo spinoso. Le leggi ad personam…
«È un capitolo spinoso solo per la sinistra perché anche questa polemica, come quasi tutte quelle contro di noi, era ed è solo panna montata. Ragioniamo: una legge ad personam è quella che risulta essere giusta solo per un singolo individuo e sbagliata per il resto della popolazione. Ebbene, non c’è una sola legge di questo tipo approvata dal mio governo. Le voglio però fare una confessione…».
Prego, presidente…
«I media non le hanno enfatizzate a dovere: eppure il mio governo ha davvero fatto tre grandi leggi ad personam…».
Quali?
«La prima è quella che ha abolito la leva obbligatoria, regalando a tutti i nostri ragazzi un anno di vita, di studio, di lavoro, di viaggi per costruire il loro futuro. La seconda è la legge sulla legittima difesa. Molti cittadini potranno sentirsi più sicuri nella loro casa. Prima erano in totale balìa degli aggressori. La terza è quella sulla droga. Una legge che si rivolge a tutte le persone che consumano stupefacenti e, dopo decenni nei quali una certa politica e una certa cultura hanno civettato con l’uso della droga, considerandola persino un fattore di libertà e di creatività, dice loro, per la prima volta, “basta”. Un “basta” a caratteri cubitali: drogarsi non è ammesso».
Qual è, a suo giudizio, l’identikit del programma di Prodi?
«È facile: l’assenza di un vero programma».
Ma come, hanno scritto più di 281 pagine…
«Appunto. Quando si scrive un programma così lungo, impossibile da leggersi per qualsiasi cittadino normale, vuol dire che il programma non conta niente. Del resto basta sfogliarlo per rendersene conto. Sulle tre questioni più importanti della vita del Paese - la politica estera, la politica economica, la politica civile - l’Unione non è proprio in grado di assumere una posizione precisa: perché in tal caso la coalizione si dividerebbe già prima del voto. (...) Emblematico è il caso Tav: non hanno scritto sul programma alcun impegno preciso sul tunnel della Val di Susa, nonostante le proteste del loro presidente del Piemonte perché, come si è ampiamente visto, non sono d’accordo tra loro. Identico ragionamento si può fare sui cosiddetti Pacs: sul programma c’è scritto chiaramente che vogliono “riconoscere giuridicamente” tutte le coppie di fatto, anche quelle omosessuali, però c’è Rutelli che, per non irritare il mondo cattolico, dice invece pubblicamente che di nozze gay non se ne parla. Anche in questo caso siamo alle solite: l’Unione propone tutto e il contrario di tutto. Il che vuol dire solo che non propone niente. (...) Quando si compone una coalizione che mette insieme Prodi e Bertinotti, Mastella e la Bonino, Fisichella e Luxuria, Rutelli e Caruso, D’Ambrosio e il figlio di Craxi, global e no global, cattolici e anticlericali, Pacs e antipacs, riformisti (pochi) e statalisti (molti), filoamericani (pochissimi) e antiamericani (moltissimi), gente che sta agli antipodi su quasi tutto, con quale credibilità si può chiedere di governare un grande Paese come l’Italia?
Lei li ha già definiti una sorta di armata Brancaleone…
«Sì, ma mi sono sbagliato. Quella del film era meglio. Almeno lì, a comandarla, c’era un irresistibile Gassman. Prodi, invece, non la comanda perché è ostaggio di tutti. Forse è per questo che è sempre così triste…».
Dunque lei non teme in alcun modo la competizione programmatica…
«Non posso temerla, perché le ripeto che non c’è alcuna competizione programmatica. (...) L’Unione non ha un programma, oltre che per i motivi già ricordati, anche per una ragione strutturale che attiene alla sua mission più profonda…».
Che sarebbe?
«L’Unione si configura come una grosse koalition tra oligarchie finanziarie, poteri bancari e l’universo dei sindacati e delle cooperative rosse; uniti al solo scopo di conquistare il potere per bloccare il cambiamento del Paese e impedire che il nuovo blocco sociale che ci ha portato a vincere le elezioni del 2001, formato dall’imprenditoria italiana, soprattutto piccola e media, dagli artigiani e dai commercianti, dai lavoratori autonomi e dai professionisti, possa consolidarsi proseguendo nella modernizzazione del Paese e nel superamento dei vecchi privilegi. Mi sono chiesto: cosa può spingere esponenti importanti del mondo bancario a esibire così vistosamente la loro partecipazione alle primarie dell’Unione sapendo di marciare insieme ai no global? Niente altro che la volontà di far coincidere il loro potere con il governo, riaffidarsi ai vecchi riti di Palazzo di una società ingessata. (...) In fondo siamo davanti alla stessa illusione oligarchica che aveva portato nel ’96 a ritenere che la sinistra, in quanto più contigua al sindacato, potesse avere vita più facile nello sviluppo del Paese. Si è poi visto come fosse davvero una pia illusione. Ho la sensazione che qualche esponente del nostro mondo finanziario non abbia ancora fatto tesoro di quell’esempio e continui a coltivare un’illusione già tramontata; senza rendersi conto che, con l’Unione al governo, l’Italia tornerebbe indietro perdendo un tempo prezioso lungo il cammino della sua rinascita. No, la sfida di Prodi non si può certo definire una competizione programmatica…».
E allora come la definirebbe?
«Tecnicamente si potrebbe dire che in realtà Prodi ha lanciato un’Opa sull’Italia. E per giunta si tratta di un’Opa ostile, perché nel proporla diffonde false informazioni sociali. Spaventa i cittadini dicendo loro che tutto va male, che le “azioni” dell’Italia non valgono più niente al fine di conquistare il potere a basso prezzo. Il catastrofismo servito a dosi da cavallo, la sciagurata e falsa retorica del declino italiano (la cui responsabilità naturalmente sarebbe tutta del solito Berlusconi) è solo l’inganno attraverso cui alle elezioni vogliono rastrellare, senza alcun programma, con il minimo dello sforzo, la maggioranza delle azioni dei cittadini italiani. Ma, ne sono certo, gli italiani il 9 aprile glielo impediranno. Si terranno ben strette le loro azioni vincenti e non le affideranno a capitani di ventura senza scrupoli. Impediranno, in altri termini, che il caso Unipol diventi una metafora dell’intera nostra democrazia».
Il progetto del partito unitario del centrodestra vedrà davvero la luce dopo le elezioni?
«Dopo aver vinto le elezioni e formato il nuovo governo, mentre riprenderemo il nostro lavoro di cambiamento, avremo questo altro grande traguardo da realizzare: quello della costruzione di un solo grande partito dei moderati e dei riformisti italiani, il Partito delle libertà.

Esso rimane l’unico grande progetto per il futuro politico del nostro Paese e, dopo il 9 aprile, l’Assemblea Costituente, insediata nel luglio scorso, riprenderà i suoi lavori per fare in modo che il 2006 segni l’effettiva nascita della grande forza politica che unirà tutti i moderati e i riformisti d’Italia (...)».
Ma non ci sono le tre punte?
«Già, ma fanno parte della stessa squadra di cui io resto il capitano».

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