Roma - «Le sembro preoccupato?». Berlusconi allarga le mani e si concede un sorriso. Porta a Porta è iniziata da qualche istante e la prima domanda è sulla guerra dei sondaggi, con Veltroni convinto che la forbice tra Pdl e Pd si sia di molto ridotta e il Cavaliere altrettanto sicuro che il vantaggio sia invariato. Passa qualche minuto, però, e l’ex premier entra nel merito dei numeri. Senza perdere l’occasione di affondare colpi sul «Pd di Prodi» e su Veltroni. Che, spiega, «è un grande comunicatore e basta» visto che «in vita sua ha fatto solo questo». I punti di vantaggio, insomma, «rimangono dieci». Anzi, negli ultimissimi sondaggi del Cavaliere, tra cui uno regione per regione su 30mila italiani, per il Pd «c’è stato» anche «un rallentamento». Conclusione? In questo momento Pdl, Lega e Mpa vincerebbero con «70 deputati e 30 senatori» di vantaggio. Quanto basta per governare in tranquillità. Tanto che pure la domanda su cosa intenda fare nel caso di una impasse al Senato la liquida con una battuta: «Non voglio impegnare il mio cervello in ipotesi irrealistiche».
Uno dei tanti segnali delle elezioni che si avvicinano. Solo qualche giorno fa, infatti, il Cavaliere si sarebbe premurato di dire che in caso di pareggio mai si sarebbe comportato come Prodi. Invece, preferisce non affrontare neanche la questione. E affondare su tutta la linea, se pure quando ribatte all’accusa di Veltroni di non aver realizzato il programma nel 2001 lo fa senza troppe cautele: «La bugia è il suo mestiere». E ancora: «Ha una vera faccia tosta, visto che predica il contrario di ciò che hanno fatto i suoi amici al governo». Pure sul Pd, poche cerimonie. È critico, infatti, sulle candidature di Colaninno e Calearo, che pure non cita mai: «Uno più che essere un imprenditore è il figlio di un imprenditore e l’altro è un ambizioso che ha sempre confessato di voler fare la politica». E va giù duro sulla scelta di mettere in lista la segretaria di Fioroni, la figlia di Cardinale e il capo ufficio stampa di Franceschini: «Stanno facendo entrare “figli di”, segretarie e portaborse». «Da noi non sarà così», aggiunge annunciando la candidatura dell’ex presidente di Confindustria D’Amato che «sarà con noi al 90%» e «farà parte della squadra di governo». Conclusione ironica: «Veltroni e Rutelli hanno un compito impervio: far credere che la sinistra non ha portato al disastro il Paese e che non sono mai stati comunisti. Devo fargli i complimenti, perché lo svolgono con abilità».
Il Cavaliere parla a lungo anche del programma. E in mancanza dell’ormai celebre scrivania del contratto con gli italiani lo fa davanti a una lavagna. Distinguendo le cose che si faranno «senza se e senza ma» da quelle che «potrebbero richiedere più tempo». Perché, dice, «la crisi economica ha determinato un carovita mondiale» e «un leader politico non può fingere di non esserne a conoscenza». I punti che saranno inseriti in un nuovo contratto che «sono pronto a firmare», però, «li realizzerò tutti», perché «non c’è più un alleato che mi dice di no». Insomma, non c’è più l’Udc. I cui dirigenti, dice, sono per metà «passati con il Pdl». Poi, per la prima volta in pubblico, racconta uno degli episodi che più hanno contribuito a incrinare i rapporti tra i due. Casini, infatti, «disse che voleva una clausola per cui il capo della coalizione non sarebbe stato necessariamente il candidato premier». E questa, racconta chi è di casa a Palazzo Grazioli, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Votare per i minori del centrodestra, aggiunge, «significa fare il gioco di Veltroni».
Poi, lancia la candidatura di Fini alla presidenza della Camera: «Credo che Gianfranco pensi a quel ruolo con una certa determinazione, un ruolo in cui io lo vedrei benissimo». E ipotizza per Frattini la poltrona di «ministro degli Esteri o dell’Interno».
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