Un suo gol in coppa Uefa contro il Bayern Monaco lha consacrato nellOlimpo dei giocatori nerazzuri. Bandiera, probabilmente una delle ultime, dellInter dei record, Nicola Berti calamitava su di sé, grazie al suo fare - un mix di guasconeria e sacrificio - lamore dei propri tifosi e le ire di quelli avversari. «Ricordo la prima trasferta a Firenze con la maglia dellInter. Il popolo viola non aveva ancora perdonato il mio trasferimento a Milano e non appena scesi dal pullman fui bersaglio di un lancio sconsiderato di monetine. Dopo venti minuti di partita fui costretto a chiedere il cambio. Moralmente ero distrutto».
Quindi, in tutti questi anni, non è cambiato nulla?
«Oggi, per un calciatore, è tutto molto più sicuro perchè con il pullman si arriva fin dentro lo stadio. Il vero problema è quello che avviene fuori dalla stadio. Bisognerebbe individuare le partite a rischio e agire di conseguenza».
Si parla tanto del modello inglese. Lei che ha giocato anche in Inghilterra cosa ne pensa?
«In Italia, allo stato delle cose, uno stadio senza barriere tra tifosi e giocatori è impensabile. Per quello credo che ci vorranno almeno dieci anni. Ma del modello inglese prenderei solo alcune parti».
In che senso?
«Loro sono arrivati alla sicurezza negli stadi, grazie alla repressione totale. In Italia, invece, quello che manca è una cultura dei valori dello sport: manca la cultura della sconfitta. Andrebbe insegnata nelle scuole, fin da bambini».
Eppure ci si sta muovendo verso leggi che limitano al massimo le tifoserie organizzate...
«Come mai quando gioca la nazionale italiana non succede mai nulla e tutto è avvolto da un clima festoso? Se togliamo anche la gioia e lo spettacolo di una partita di calcio, rimangono ben poche cose con cui divertirsi...».
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