Quando uscì, nel 1964, Il male oscuro fu un successo: vinse due premi (Viareggio e Campiello), anni dopo fu anche trasformato in un film da Monicelli. Però poi il capolavoro di Giuseppe Berto è sparito: «Era in tascabile, stancamente riproposto e ristampato, come avviene per i tascabili in generale» dice Giuseppe Russo, direttore editoriale di Neri Pozza. Che lo ha da poco ripubblicato perché, spiega Russo, «c'era bisogno di una operazione critica, di rilancio dell'autore». Quella che appunto intende realizzare la casa editrice, che ha acquistato i diritti per le opere dello scrittore veneto, per esempio con la «Soirée Berto» organizzata per martedì al Teatro Parenti di Milano (a dialogare Camilla Baresani, Pierluigi Battista, Antonio Scurati ed Emanuele Trevi).
Giuseppe Russo, perché avete deciso di ripubblicare Il male oscuro?
«Confesso che, fino a qualche anno fa, non avevo mai letto Berto. Aveva la fama di essere amato da persone di destra... Avevo un pregiudizio ideologico».
E quando ha letto Il male oscuro?
«Ho pensato: è un capolavoro. Infatti a leggerlo oggi è straordinariamente attuale. Uscì nel '64. Come sono invecchiati tutti gli altri romanzi, rispetto al Male oscuro. È impressionante».
Così è nata l'idea di ripubblicarlo?
«Ho letto La gloria, un altro capolavoro di Berto, e via via gli altri libri. Poi, parlando con Marco Vigevani, l'agente degli eredi di Berto, gli ho detto che volevo riscoprire e rilanciare una serie di grandi autori italiani, per esempio Elsa Morante. Gli ho chiesto se ci fossero autori di cui scadevano i diritti: e c'era proprio Berto».
All'epoca Il male oscuro fu un bestseller.
«Sì, in vita Berto aveva avuto un successo commerciale, ma non l'apprezzamento critico che merita nella cultura italiana. Il nostro tentativo è appunto questo».
Ma come è possibile che sia stato dimenticato, anche dall'editoria?
«Non è che i grandi gruppi dimentichino gli autori, non è una lamentela da piccolo editore. Il problema è l'apprezzamento della sua figura, legato a un clima culturale. Immagini i suoi rapporti con i circoli radicali della sinistra romana... Quali case editrici, caratterizzate da un progetto letterario, potevano considerare Berto? Nel secondo Novecento, rispetto al neorealismo dominante risulta una figura spuria, non collocabile da nessuna parte. Poteva essere considerato da una casa editrice come Adelphi, o come noi».
Perché da voi?
«Dalla metà degli anni Ottanta, quando le case editrici si sono aperte a quella che può essere definita cultura pop, l'editore letterario è stato considerato una figura tramontata del Novecento. E invece è una figura del nostro tempo, e l'unica figura possibile del futuro. E quello che lo caratterizza è una lista di autori, presentati in un progetto letterario appunto, come per esempio per noi St Aubyn, Ghosh, Koch, Thomas, Nevo... Scrittori che mostrano l'altro lato della modernizzazione».
Ma l'editoria che ha trascurato Berto ha fatto il suo mestiere?
«Se si guarda in giro, le case editrici interessanti, che non pubblichino solo libri di mero intrattenimento, hanno al loro interno una figura intellettuale con determinati interessi e una idea del proprio lavoro. Occorre una idea del mondo: un editore deve avere un suo cosmo letterario. E nel mio Berto ci sta benissimo, come Gary e Remarque, di cui anche pubblichiamo l'opera completa».
Crede che Berto abbia avuto un destino simile ad altri grandi autori del Nord-est, in parte dimenticati o poco pubblicati, Parise a parte, come Comisso, Piovene o Saviane?
«Una volta ne ho parlato con Cesare De Michelis, che è stato per anni testimone della grandezza di Berto, e lui sosteneva che il grosso della letteratura italiana del '900 con qualche interesse venga tutto da Veneto e Sicilia. È incredibile, ma è così. Basti pensare a Meneghello, uno scrittore notevole, o a Comisso, un altro autore di prim'ordine».
Esistono dei tratti comuni?
«Quando, subito dopo la guerra, Parise consegnò Il ragazzo morto e le comete, che è il romanzo con cui nasce Neri Pozza, dopo tutta la retorica di cui abbondava la letteratura italiana del primo Novecento Neri Pozza medesimo si trovò di fronte a questa lingua viva, la lingua veneta, trasportata nell'italiano letterario: una cosa nuova, e una cifra della letteratura successiva. Anche se una conquista non scontata. Ecco, gli scrittori veneti questo fecero: aprirono le pagine della letteratura alla autenticità. Perciò sono estremamente moderni».
E però trascurati?
«Beh, potendo riprendere Meneghello lo farei... Parise lo farei tutto, ma lo fa Adelphi. Comisso in effetti sì, è poco stampato. Piovene credo sia notevole, ma non accostabile a Berto per grandezza».
Insomma Berto è molto più grande di tanti altri autori osannati, suoi contemporanei?
«Beh, la Morante, la Ortese sono grandissime secondo me. Del resto è il problema di cui soffre la letteratura italiana, il conflitto fra stilisti e narratori. Ed è relativamente da poco che è esplosa questa narratività, a cui appartiene il trionfo inaspettato del giallo».
È un problema?
«Il problema è che il trionfo della fiction spesso va a scapito dello stile e della voce: esportiamo soltanto gialli o romanzi, cioè opere di cronaca sociale...».
Che rapporto ha l'editore con il gusto del pubblico?
«Non esiste un gusto del pubblico, è il gusto che gli viene dato. Qualche tempo fa sono state ripubblicate le classifiche di vendita della fine degli anni '70: c'erano Sciascia, Calvino, Pasolini. Le dirò di più, alla fine degli anni '70 non c'era nessun festival letterario: oggi non c'è un buco di quartiere di qualunque paesello in cui non si tenga un festival».
Che significa?
«Lo spettacolo della cultura, che contribuisce alla formazione del gusto, non favorisce la cultura. Favorisce lo spettacolo».
Ci sono libri che appartengono alla letteratura e sono di successo.
«Certo, scrittori di qualità e di successo ce ne sono. Sostenere che il mondo contemporaneo abbia voltato le spalle alla letteratura è una sciocchezza. Al contrario, è possibile fare industria di qualità, anche nell'editoria».
Come era l'idea iniziale dello stesso Neri Pozza?
«Sì. Successo commerciale e qualità. Si può fare. In Italia bisognerebbe creare un polo editoriale di qualità, per rispondere alla sfida della quantità».
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