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Uno bianca, Savi digiuna: "Tutelate la mia famiglia"

Fabio Savi sta scontando l'ergastolo nel carcere di Voghera per 24 omicidi compiuti con la banda della Uno bianca tra il 1987 e il 1994. Da un mese ha smesso di mangiare: "La mia famiglia non deve pagare". I parenti delle vittime: "Non ebbe pietà per i nostri"

Uno bianca, Savi digiuna: 
"Tutelate la mia famiglia"

Voghera - Da anni è rinchiuso in carcere. Deve scontare l'ergastolo per la morte di 24 persone e il ferimento di altre 114. Delitti compiuti tra il 1987 e il 1994 in Romagna. Faceva parte della tristemente nota banda della Uno bianca. Lui, Fabio Savi, da un mese fa lo sciopero della fame. Non chiede qualcosa per sé: protesta, invece, perché la sua famiglia possa essere lasciata in pace. "Ho sbagliato e devo pagare", ammette Savi, che fa sapere di battersi per cercare di ridare tranquillità alla sua famiglia: "Io sconto la pena ma loro non c’entrano".

Le richieste Savi viene nutrito con una flebo nel carcere di Voghera. Non è ancora stato deciso il suo ricovero in ospedale. Lui ha voluto affidato al suo legale, l’avvocato Fortunata Copelli, una lunga lettera nella quale spiega i motivi della sua protesta e del suo disagio. "So di dovere scontare una giusta pena ed intendo farlo con la massima correttezza e dignità. Ma, come io ho il dovere di rispettare le regole, ho anche il diritto della tranquillità di una cella singola, di un lavoro per potere sostenere la mia famiglia, di reclamare per essere stato inserito in un circuito detentivo con mafiosi mentre non ho nulla a che vedere con questo titolo di reato, e di vedere assicurato il principio di territorialità della pena", scrive Savi.

La moglie "Ho una moglie che vive e lavora onestamente a Firenze - scrive - tra affitto e bollette non si può permettere di di venire a Voghera" e ciò nonostante "l’ordinamento penitenziario preveda il massimo favore ai contatti con la famiglia. Più volte ho chiesto di essere trasferito in una casa di reclusione in Toscana: comunque sconterei la pena. La mia famiglia non c’entra nulla col mio passato".

Mai chiesto scusa Nella lettera Fabio Savi scrive anche ai familiari delle vittime della banda della Uno Bianca. "Non ho mai chiesto scusa - scrive - e non lo farò fino al giorno in cui le mie scuse potrebbero essere interpretate in modo strumentale. Penso che la migliore forma di rispetto sia il silenzio; non è facile vedere gli sguardi in tribunale di quelle persone".

La pena dentro di me "Vorrei tornare indietro nel tempo - scrive Savi - e impedire tutto quello che è successo, ma purtroppo non ci si può riscrivere la vita; tutto ciò che posso fare è cercare di essere un uomo migliore, perché la vera pena io l’avrò dentro me stesso fino all’ultimo dei miei giorni".

I parenti delle vittime "Non siamo ipocriti, noi non possiamo perdonare, e nemmeno avere pietà. Perché lui di pietà per i nostri non ne ha avuta". È coerente con le posizioni avute in passato Rosanna Zecchi, presidente della associazione che riunisce i familiari delle vittime della banda della Uno Bianca, a chi le chiede cosa pensi dello sciopero della fame di Fabio Savi. "È stato uno dei più freddi, e non chiede nemmeno scusa - ha detto -. Perché dobbiamo avere pietà? Abbiamo rispetto per la magistratura, e speriamo che il magistrato di sorveglianza valuti bene questo personaggio".

"Lui può vedere la moglie; noi i nostri mariti, i nostri figli non li possiamo più vedere", ha aggiunto commossa la donna.

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