Luigi Mascheroni
Difficile trovare un tipo che odiasse Milano così tanto, così profondamente, così fino in fondo: «Ma cosa credi? - scriveva a un amico poco dopo esserci arrivato - Che bastino tre mesi a Milano per distruggere trentadue anni di Maremma? Credi che io mi voglia proprio far mettere le mutande di latta da questi quattro coglioni? Perché i milanesi, credimi, son coglioni come poca gente al mondo».
Anarchico, anarca e anarcoide, lui Milano - «città grande e sconosciuta, città operaia, svizzera, lavorativa» - lavrebbe volentieri tirata giù. Fatta saltare, con un bomba, magari piazzata sotto il Torracchione-Pirellone: bumm!
O meglio, boom. Quello economico, quello del miracolo, quello degli anni in cui Luciano Bianciardi - nato a Grosseto nel 22 da padre bancario e madre maestra, una laurea in Filosofia alla Normale di Pisa, un lavoro alla biblioteca comunale di Grosseto - lascia la sua maledetta-benedetta Toscana per salire a Milano, anno di scarsa grazia 1954, allettato dallindustria culturale che stava nascendo qui al Nord. «In quel momento Giangiacomo Feltrinelli stava fondando una nuova e progressista casa editrice come si diceva allora.
Luciana Bianciardi - un carattere (...)