Economia

Le «Big Three» in cerca di riscatto

L’insidia giapponese e le minacce degli scioperi Gli ex sposi di Stoccarda: «Pronti ad alleanze»

da Milano

Nel Michigan sono tornate le Big Three. Il 4 ottobre il colosso DaimlerChrysler ha messo ufficialmente la parola fine alla sua avventura americana con la Chrysler. Un addio (anche se i tedeschi mantengono una partecipazione del 19,9% nel gruppo americano) che permette alla Chrysler di ritrovare la sua indipendenza anche nella ragione sociale, dopo l’acquisizione da parte del fondo di private equity Cerberus.
Ecco allora ricomparire, insieme a General Motors e Ford, la Chrysler Holding. Il terzetto, però, si propone al mercato meno «big» rispetto al passato. Lo scenario mondiale è cambiato. Giapponesi ed europei hanno rosicchiato quote di mercato agli americani in casa loro e Toyota, da mesi, è pronta allo storico sorpasso su Gm. Le stesse case americane, poi, alle prese con il caro petrolio, gli elevati oneri sanitari per i propri dipendenti in pensione e la crisi del mercato del credito continuano ad attraversare momenti difficili. Gm, Ford e Chrysler viaggiano così a due velocità: a rilento, chi più e chi meno, negli Stati Uniti, spedite in Europa (per Chrysler, a esempio, l’Italia è il primo mercato dopo quello americano e Ford, nel nostro Paese, è il marchio leader tra gli importatori).
A settembre le vendite di veicoli dei tre colossi negli Usa hanno riportato una performance contrastata: bene ha fatto Gm (più 4,3%), che ha assistito a un aumento della domanda degli autocarri leggeri e dei veicoli crossover; male, invece, la rivale Ford (meno 21%, peggio del meno 4% atteso dagli analisti); mentre anche Chrysler ha segnato il passo (meno 5,4%). Ma c’è un altro aspetto che in questo periodo non fa dormire sonni tranquilli ai vertici soprattutto di due delle ritrovate Big Three: Ford e Chrysler. Quest’ultima, in particolare, ha tempo fino alle 10 di domani mattina, ora americana, per raggiungere un accordo con i sindacati sul rinnovo del contratto di lavoro. In caso contrario sarà sciopero. Il sindacato, sabato, ha dato a Chrysler un preavviso di 72 ore, avvisando il gruppo che non avrebbe tollerato ulteriori estensioni del contratto. Una strategia simile a quella utilizzata con la Gm che dopo due giorni di sciopero nazionale ha sottoscritto l’accordo.
Da parte sua la Ford proporrà ulteriori tagli di lavoratori a paga oraria quando tornerà al tavolo delle trattative con i sindacati. La sforbiciata sarebbe da aggiungere a quella dei 27mila addetti a paga oraria che hanno già lasciato l’azienda nell’ambito di programmi simili offerti lo scorso anno. Sempre la Ford, inoltre, è in trattativa con l’indiana Tata e alcuni fondi per cedere i «gioielli» Jaguar e Land Rover.
La «solitudine» della Chrysler, però, potrebbe durare poco. In vista, dopo l’esperienza con Daimler, non ci sarebbero nuove nozze, ma alleanze di tipo industriale o commerciale. «Parte della nostra crescita - spiega al Giornale Michael Manley, vicepresidente esecutivo di Chrysler Holding - sarà volta a cercare partner nelle alleanze in regioni chiave per quanto riguarda la condivisione di piattaforme e di capacità produttive. Ci sono tante occasioni a disposizione. Considerando la posizione di Chrysler, siamo consapevoli di offrire buone opportunità ad alcuni partner che, come noi, sono interessati a crescere». È un’apertura, quella della casa americana, che potrebbe portare a importanti sviluppi nel breve.

Guardando alle ipotesi, infatti, perché non parlare di una convergenza con Fiat su Chery, partner cinese di entrambi?
L’intesa tra Chrysler e Chery, la casa sotto la Muraglia a più elevato tasso di crescita, prevede che i cinesi producano vetture di piccola cilindrata da distribuire in America sotto l’egida Usa, ma destinate anche all’esportazione in Europa e Sud America.

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