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La neonata provincia di Monza e Brianza ha la sua prima giunta, di centrodestra, presieduta da Dario Allevi. Quasi contemporaneamente Ettore Pirovano, presidente della provincia di Bergamo, ha formalizzato la nascita della sua squadra. Guido Podestà sta alacremente lavorando al varo di quella che governerà la provincia di Milano. Le pratiche apertamente lottizzatorie che hanno ancora una volta caratterizzato la nascita di questi come di tutti gli altri esecutivi locali, portano abbondante acqua al mulino dei molti che considerano le province inutili enti da sopprimere.
E non parlo della spartizione dei posti da assessore fra i partiti della coalizione, metodo francamente inevitabile e perfino corretto se attuato alla luce del sole finché alle elezioni si presenteranno, appunto, delle coalizioni, le cui diverse culture politiche è giusto che siano rappresentate al governo del territorio. Mi riferisco, invece alle pratiche di sotto-lottizzatorie - anche per poltrone in società ed enti controllati - imposte dai diversi gruppi di potere e di pressione all'interno dei partiti. Qui non c'è alcuna giustificazione e legittimazione. C'è anzi da farsi prendere dalla nostalgia per la vecchia cara lottizzazione d'antan: almeno allora la politica e l'ideologia in qualche modo c'entravano. C'è chi dice, ad esempio, che Allevi abbia tentato di varare la giunta brianzola prima del ballottaggio Podestà-Penati per evitare di dover lasciare qualche posto a eventuali trombati milanesi.
E che proprio per questa stessa ragione sia stato «invitato» ad aspettare l'elezione di Podestà. Ora, dunque, gran lavorio per palazzo Isimbardi. E non per la spartizione tra partiti, di fatto già determinata da tempo, ma fra le varie cordate interne. Sarebbe invece la volta buona, proprio per mettere a tacere gli agguerriti detrattori delle province, per tentare il metodo «nuovo» di scelte sulla base delle competenze, delle esperienze pregresse, dei curricula personali.

Magari lasciando più spazio a tecnici esterni ai partiti e, finalmente, alle donne. Una più forte presenza professionale e femminile a palazzo Isimbardi non potrebbe che far bene ad un ente locale sempre meno amato ma che il ceto politico si ostina pervicacemente a tenere in vita.

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