Bombarolo è poco, Silvio socio della mafia

RomaE oggi? Che ci riserverà il prossimo episodio? Cosa uscirà dalle penne degli sceneggiatori del feuilleton politico-poliziesco che Repubblica ogni giorno mette in pagina? La prosa, infarcita com’è dai verbali giudiziari, è leggermente faticosa e la trama scorre maluccio. Eppure il genere ha i suoi cultori che, impazienti, aspettano la nuova puntata.
La domanda principale è: verso quale direzione sposteranno l’indagine? Su quali «angoli oscuri» delle fortune del Cavaliere Nero punteranno i riflettori? Quali rivelazioni dei pentiti offriranno in anteprima ai lettori? Dopo un Berlusconi bombarolo e riciclatore di capitali mafiosi, ne avremo anche uno che mangiava i bambini?
Le ultime puntate del giallo infatti sono state un po’ così. Dopo i capitoli del sexy-gate, del Cav amatore e del tormentone delle dieci domande, il quotidiano romano ha fatto virare decisamente la Silvio-story verso i suoi presunti rapporti con Cosa nostra. Se non che, anche qui, la rotta del Padrino è stata tenuta solo per 24 ore.
Venerdì infatti il duo Bolzoni-D’Avanzo, sia pure tra mille prudenze e diecimila condizionali, sosteneva in sostanza che la mafia, delusa dall’atteggiamento del governo che «non aveva rimesso le cose a posto» sul carcere duro ai boss e sulla struttura dei processi, si preparava «a chiedere il conto» al premier. Anzi, aveva già cominciato a farlo nelle diverse dichiarazioni dei pentiti raccolte da quattro procure, Firenze, Caltanissetta, Palermo, Milano. Ma il botto finale, scriveva Repubblica, era atteso per il 4 dicembre, quando «Gaspare Spatuzza, mafioso di Brancaccio, testimonierà nel processo d’appello contro Marcello Dell’Utri» accusando il Cavaliere «e il suo braccio destro di essere i suggeritori della campagna stragista di sedici anni fa». Ricordate l’attacco al patrimonio artistico? Le bombe alla chiesa del Velabro, al palazzo del Laterano, a via dei Georgofili a Firenze, più il mancato attentato allo stadio Olimpico? La colpa di Berlusconi, agli occhi dei boss Graviano, sarebbe stata quella di non aver ripristinato la vicinanza cosche-politica come promesso e di aver addirittura detto, in agosto, di voler passare alla storia come il premier che ha sconfitto la mafia. Da qui «l’attacco pubblico con un processo».
Ma il giorno dopo il copione cambia. Attenzione, la storia delle bombe è solo un diversivo, o meglio, un preavvertimento. Difatti, si legge, un eventuale avviso di garanzia per le stragi del ’93 provocherà a Berlusconi «solo un danno d’immagine internazionale, ma il Cavaliere ha dimostrato di saper reggere anche alle pressioni più moleste». Le stesse procure, viene riportato, si rendono conto «che raccogliere le prove per un processo sarà un’impresa ardua dall’esito ipotetico». Agli atti ci sono solo parole, racconti di racconti. Manca «l’impronta digitale di Silvio Berlusconi» sulle bombe.
Ecco allora il colpo di scena. Non è della storia delle stragi che il Cav deve avere paura, ma di un qualcosa molto precedente: l’origine del suo patrimonio. «Con quali capitali Berlusconi abbia preso il volo a metà degli anni Ottanta è ancora oggi un mistero». Sotto il tiro dei due giallisti c’è un venti per cento della Fininvest sul quale, come aveva scritto Paolo Madron nel 1984, «per la gioia di chi cerca, ci si può ancora sbizzarrire». E appunto sbizzarrendosi, si collega quel venti per cento non berlusconiano - inesistente secondo Marina Berlusconi - ad altre dichiarazioni di Spatuzza. Filippo Graviano, si legge nei verbali riportati, «è un patito dell’abilità commerciale» del presidente del Consiglio, leggeva il Sole-24 ore, «era attentissimo nel seguire la questione Fininvest, teneva d’occhio il volume pubblicitario, mi parlava di Borsa, di Tizio e di Caio, ma la Fininvest era un terreno di sua pertinenza, come se fosse un suo investimento».
Questa dunque sarebbe la chiave del ricatto.

Conclusione minacciosa: «È giunto il tempo per Berlusconi di fare i conti con il suo passato. Non in un’aula di giustizia, ma en plein air, dinanzi all’opinione pubblica. Prima che sia Cosa nostra a intrappolarlo e con lui, il legittimo governo del Paese». Alla prossima puntata.

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