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BOMBE su Genova

Da un terrazzino di via Gianelli a Quinto. Lanciato sul mare nel palazzo del vecchio mulino. Oggi appartamenti, l'ombra del ricordo nel panificio forse senza memoria al piano strada.
La mattina del 9 febbraio 1941 Giacomo P. ha 11 anni. Sono le 8 e 14, il boato sordo delle cannonate scuote i muri, l'ansia d'un riparo, papà che lo tira giù dal letto e lo trascina con mamma a ridosso del muro maestro. Ma i cannoni dell'ammiraglio Sommerville puntano Genova; da Quinto guardano l'attacco di fianco. Il padre porta Giacomo su su, alla finestrella sul terrazzino, non c'è pericolo: vuole mostragli cos'è la guerra, le navi impastate di foschia, il lampo dello sparo a squarciare la bianca cortina di paura. «Guarda - mi diceva - adesso sentirai il colpo. Gli aerei urlavano, mia madre ci aspettava sotto, e io registravo quella sequenza lunghissima di luci, esplosioni e muri che sentivo venir meno».
Il fuoco durò trentun minuti e cessò alle 8 e 45. Il padre corse nel centro della città: «Al suo ritorno ci raccontò della grossa bomba inesplosa piantata nella Cattedrale di San Lorenzo con le sedie intorno a tenere lontano le persone». Giacomo conserva emozioni e odori, ma oggi, ultrasettantenne, non chiedergli altri dettagli perché realtà e paura s'incrociano e dilatano. Ma quel bombardamento diventa la sua ombra stretta. Nel '53, militare a Milano, scova il libro «Navi e poltrone» di Antonino Trizzino, edito l'anno prima da Longanesi, dove rilegge «l'incontrastato bombardamento di Genova». Un libro scomodo, una critica imparziale delle cause della sconfitta italiana con risposte ad interrogativi irrisolti sugli inspiegabili colpi subiti dalla nostra marina. A Trizzino costò una denuncia per vilipendio delle FF.AA dello Stato che si risolse con l'assoluzione dello stesso in Appello.
Giacomo riapre quel libro alle pagine del bombardamento: «In molti lo hanno raccontato, ma ritengo che Trizzino ne dia la vera lettura autentica e critica». Recuperi la cronaca che l'autore anticipa: «In quegli anni avvenivano fatti fantastici. Le generazioni che verranno stenteranno a crederli». Fra questi i fatti di Genova, che per alcuni miravano a favorire «la caduta del morale italiano per costringere le potenze dell'Asse ad una pace separata». Perché gli inglesi dovevano riscattare l'affondamento dell'incrociatore Southampton e riaffermare il controllo sul Mediterraneo. Anche Trizzino riferisce la storia che l'obiettivo principale dell'azione inglese sarebbe stata la Duilio, in riparazione a Genova dopo il siluramento a Taranto. «Ma la flotta inglese si sarebbe mossa da Gibilterra - scrive Trizzino - per stare 5 giorni in mare, lontano dalla base, spingendosi fin dentro il Golfo di Genova, con rischi incalcolabili, per piazzare qualche colpo su una corazzata in riparazione? È stupido crederlo, anche se gli inglesi l'hanno detto». Secondo l'autore tutto quaglia in relazione all'incontro programmato per l'11 febbraio a Bordighera da Mussolini con Franco per «riportare all'ovile il figliol prodigo spagnolo. Perché un eventuale schieramento della Spagna accanto ad Italia e Germania, avrebbe segnato una svolta nella guerra del Mediterraneo. Di ciò si preoccupava l'Inghilterra, non della nostra Duilio. Bombardare una grande città significa ammonire la Spagna che potenza navale non è e che avrebbe avuto le coste alla mercé dell'Inghilterra».
Secondo la cronaca di Trizzino, le navi inglesi partono da Gibilterra il 6 febbraio e arrivano nel Tigullio il 9. Alle 5 la portaerei Ark Royal si piazza con due cacciatorpediniere a nord della Corsica. Mentre le corazzate Renown e Malaya, l'incrociatore Sheffield e 5 cacciatorpediniere avanzano verso Levante, nella bruma del mattino. Alle 8 e 14 aprono il fuoco: 273 colpi di cannoni da 381 e 1182 di calibro minore che centrarono soprattutto la zona marittima e industriale, non risparmiando però il centro cittadino. Bilancio: 144 morti, 272 feriti e 2500 senza tetto. Edifici distrutti o pesantemente danneggiati 254, senza contare i danni all'Accademia di Belle Arti, Cattedrale di San Lorenzo, ospedale Galliera, Chiesa di Santa Maria Maddalena e Archivio Storico. Il fuoco cessò alle 8 e 45: le navi tornarono indietro e si riunirono all'Ark Royal per guadagnare la base. «Era un calmo mattino di domenica e non v'era niente che rompesse la pace e il silenzio» commenta l'ammiraglio Sommerville nel suo rapporto, «non si sa se per riferire dati di fatto o fare semplice ironia, vista la mancanza di qualsiasi reazione italiana». Trizzino elenca gli assenti: «I caccia di Albenga non intervennero perché il capoluogo ligure non era di loro competenza; quelli di Sarzana curavano La Spezia insidiata da due aerei dell'Ark Royal; né intervennero i nostri aerei da bombardamento. Solo alle 12 e 20 due aerei riuscirono a raggiungere la flotta inglese lanciando 4 bombe che caddero lontano dai bersagli». Trizzino calca la penna su Supermarina che «alle 8 e 37 ricevette comunicazione del bombardamento ma non trasmise il radiotelegramma alla flotta con l'urgenza del caso, tant'è che l'amm. Jachino lo ebbe alle 9 e 50. Troppo tempo, non è vero?». E ancora: «La preoccupazione dell'enigmatica Supermarina sembra più quella di disorientare il comandante e allontanarlo dal nemico» trasmettendo messaggi ambigui e «dando da intendere che gli inglesi si stavano allontanando verso sud, mentre in realtà navigavano verso ponente». Jachino alle 12 e 44 comunque puntò verso Tolone, sicuro di tagliare la ritirata al nemico». Ma una serie di telegrammi ingarbugliano il quadro e Jachino «fu indotto a pensare che il nemico volesse svignarsela lungo la Corsica» e lì erroneamente si diresse. Ma incontrò solo innocui piroscafi francesi. Il nemico viaggiava ormai sicuro verso Gibilterra, sulla stessa rotta battuta all'andata. «Sommerville era sicuro di non incontrare navi italiane a Genova» ribadisce Trizzino.


Giacomo chiude il libro e ti mostra il Monte Moro, i resti dei bunker per le batterie installate dopo il bombardamento. «Ricordo quando minavano per costruire la strada: i pescatori ne approfittavano per buttare in mare le torpedini e agguantare più pesci senza farsi beccare». Altra guerra, altre strategie di sopravvivenza.

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