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Bondi contro Bersani: lavora dietro le quinte

Bondi contro Bersani: lavora dietro le quinte

Roma - Le uscite del premier Romano Prodi e del ministro Pier Luigi Bersani come la conferma dell’interventismo governativo sul caso Telecom. E l’occasione per rispolverare precedenti che vanno dalla recente «merchant bank di Palazzo Chigi», alla vicenda Alfa Romeo-Ford. Nel centrodestra non c’è troppa sorpresa per gli ultimi sviluppi politici della vicenda. Ma ad una richiesta di chiarimento le opposizioni non rinunciano. Il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi, ad esempio, si rivolge al ministro dello Sviluppo economico. E gli chiede di smentire le ricostruzioni di stampa che lo danno impegnato alla nascita di una cordata italiana che possa contrapporsi alla offensiva americana di At&t. Al partito del libero mercato si iscrive anche Mario Baldassarri, senatore di Alleanza nazionale ed ex viceministro all’Economia. «Basta con le holding di Palazzo Chigi. Il governo, invece di pensare a organizzare cordate bancarie, pensi piuttosto a governare il Paese, se ci riesce». L’economista segnala che «chi ha privatizzato la Telecom regalandola al nocciolino duro, vuole oggi rinazionalizzarla o prendendo i soldi a prestito dalle banche o prendendoli dal risparmio postale degli italiani attraverso la Cassa depositi e prestiti. Non si difende l’interesse degli italiani - conclude - con improprie ingerenze nella proprietà delle imprese, ma con regole da far rispettare a tutti».
Dentro An ci sono posizioni più sfumate, come quella del responsabile Politiche industriali Stefano Saglia secondo il quale il premier nell’intervista al Sole24Ore, ha detto delle «cose sensate», anche se il presidente del Consiglio sulla questione Telecom «non è credibile». Perché «la sua storia personale non accredita l’idea di un uomo favorevole al mercato».
Netta la posizione dell’Udc che torna a parlare la stessa lingua del resto dell centrodestra e accusa il premier di predicare bene e razzolare male. Prodi «chiede liberalizzazioni e ha in mente una economia sovietica», protesta Francesco Pionati, che vede come unica alternativa allo spezzatino «l’arrosto morto, che Prodi ha già cucinato con il caso Alfa Romeo», 21 anni fa, quando la Ford fallì il tentativo di acquistare la casa automobilistica. Entra nel merito Rocco Buttiglione. E boccia l’idea che il colosso italiano delle tlc possa essere rilevato dalle banche che «hanno i soldi, ma non è il loro mestiere gestire le imprese. L’unico che in Italia ha i soldi e la competenza - osserva il presidente dell’Udc - è Berlusconi, ma è difficile che Prodi rimuova gli ostacoli legislativi che gli impediscono l’acquisto».
Si rifà al passato di Prodi anche Adolfo Urso, senatore di An ed ex viceministro al Commercio estero che bolla la posizione espressa dal premier al quotidiano economico come «sconcertante e sconfortante», una visione «vecchia della politica industriale, infarcita da risentimenti e acrimonie che rischiano di inficiare ogni azione».
La Casa delle libertà sembra quindi essersi ritrovata sull’idea di libero mercato e di apertura agli investimenti stranieri. Che non è scalfita nemmeno dagli esempi di neoprotezionismo che vengono dal resto dell’Europa.

A chi cita quei casi replica Benedetto Della Vedova, leader dei Riformatori liberali e deputato di Forza Italia, ricordando «i risultati dei precedenti interventi dei governi di centrosinistra, dalla privatizzazione, ai capitani coraggiosi, fino alla vicenda Rovati».

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