Le Borse limitano i danni L’Opec litiga sui tagli

Un altro crollo è stato perlomeno scongiurato. Dopo il mercoledì di paura, le Borse sono ieri riuscite a limitare i danni. Il nervosismo sui mercati resta però a livelli di guardia, in assenza di buone notizie sia dal fronte finanziario, sia da quello dell’economia reale.
Al supervertice del G20, da cui si attendono risposte alle minacce di recessione globale, mancano ancora tre settimane. Probabilmente saranno 20 giorni di passione. L’Europa ha deciso ieri di convocare per il 7 novembre una riunione informale straordinaria, riservata ai capi di Stato e di governo, per mettere a punto una strategia comune da sottoporre al summit di Washington, al quale non è stata invitata la Spagna. Nel tentativo di ottenere un pass, Madrid sta cercando di far pressione sui candidati presidenziali Barack Obama e John McCain, nel momento in cui Zapatero deve anche fronteggiare la crisi argentina. Dopo la decisione di nazionalizzare i fondi pensione, con possibili ricadute sulla banca iberica Bbva, Buenos Aires potrebbe ora mettere le mani sulla compagnia di bandiera Aerolineas Argentinas, controllata dal gruppo spagnolo Marsans.
La Casa Rosada ha dichiarato di non aver alcun problema a onorare le scadenze sul debito 2009, ma l’allarme scattato in Argentina dimostra quanto la crisi si sia ormai allargata a ogni latitudine. Ne sa qualcosa l’Asia, dove le Borse sono scese ieri ai minimi di quattro anni (-2,46% Tokio dopo un tuffo fino a -7%). Un tonfo che aveva fatto temere il peggio anche per l’Europa. I listini del Vecchio continente, complice l’andamento incerto di Wall Street (dopo una folle altalena il Dow Jones ha chiuso in rialzo del 2%; il Nasdaq ha ceduto lo 0,7%) si sono invece mosse in ordine sparso. Se Milano è rimasta intorno alla parità (-0,2%), Francoforte e Londra sono invece scese di poco oltre l’1%, Madrid ha perso il 2% e Parigi è salita dello 0,38%.
Oggi l’attenzione si sposta sull’Opec, che a Vienna deciderà di quanto tagliare la produzione. I «falchi» come Libia e Iran puntano su un’offerta ridotta di due milioni di barili al giorno, altri su un intervento più ridotto. Non c’è accordo: si litigherà. La mossa del Cartello rischia di impattare sui prezzi, risaliti ieri fino a 69 dollari, e dunque su un’economia mondiale già debilitata.
Con il Vecchio continente a rischio-recessione, l’euro continua a soffrire: il recupero del dollaro è arrivato ieri fino a 1,2728, miglior risultato degli ultimi due anni. Ma la situazione negli Stati Uniti è tutt’altro che rosea: i pignoramenti di case hanno toccato nel terzo trimestre il massimo storico (oltre 755mila unità), e il governo sta pensando a misure per aiutare le famiglie in difficoltà. I prezzi delle abitazioni continuano intanto a scendere (-5,9% su base annua l’indice specializzato), i sussidi di disoccupazione a salire (a quota 478mila), così come i tagli ai posti di lavoro (3.260 a Goldman Sachs, altri 5mila probabili per Gm). Crisi nera, insomma, per la quale anche Alan Greenspan recita il mea culpa.

In passato, l’ex leader della Fed era sicuro che i derivati non andassero regolamentati. Ora ha cambiato idea: «Ho sbagliato nel credere che avrebbe prevalso l’obiettivo di proteggere il valore degli azionisti e del capitale».

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