Bosetti: «L’Antigone tragedia antica ma sempre attuale»

Il grande attore è anche regista: «Interpreto un re Creonte problematico»

Carlo Faricciotti

Va in scena al Teatro Carcano l’Antigone di Sofocle, nella traduzione di Giovanni Raboni e con la regia di Giulio Bosetti, anche interprete del ruolo di Creonte, insieme a Sandra Franzo (Antigone), Marina Bonfigli (Euridice), Tommaso Amadio (Emone) e gli altri attori della Compagnia del Teatro Carcano. Lo spettacolo resta in scena fino al 14 maggio prossimo.
Nelle parole dello stesso Raboni, «quella di Antigone è la storia di una giovane donna che affronta la morte per non tradire la pietà dovuta ai morti. La pietà per i morti non è soltanto un impulso della sua coscienza, è anche, per lei, un dovere sancito dalle leggi non scritte, le leggi di origine divina. Ma nella storia di Antigone le leggi divine si scontrano con le leggi umane, di cui Creonte, re di Tebe, è la personificazione, cioè l'esecutore e il garante. Chi ha ragione tra i due? Il dibattito è aperto da 2.500 anni e riguarda davvero tutto e tutti in qualsiasi tempo e in qualsiasi luogo: la storia di ogni comunità retta da un patto sociale, con il suo conflitto forse insanabile fra le ragioni del progresso e le ragioni della giustizia, e la vita di ciascuno di noi, con il suo conflitto certamente insanabile fra le ragioni della mente e le ragioni del cuore».
Bosetti, da cosa nasce l'interesse per Antigone?
«Amo i grandi testi e la grande poesia e so che esiste un pubblico interessato a essi, che si tratti di Sofocle e di Dante, un pubblico che ha bisogno di grandi autori, non di intrattenimento scacciapensieri».
La traduzione di Raboni risale al 2000 ma lo spettacolo è una prima assoluta…
«Avevo già interpretato Creonte al Teatro Antico di Siracusa nell'estate del 2000, ma non ero regista dello spettacolo. Raboni ha realizzato un prodigio di traduzione, un testo in versi liberi che è come uno spartito musicale, intessuto di un linguaggio chiaro, comprensibile. Anche su questa base ho chiesto agli attori una recitazione sincera, vera, profonda. Ho detto loro: non pensate a Sofocle, alla tragedia aulica e paludata, pensate a Cechov».
Qual è la chiave del suo approccio registico al testo?
«I registi spesso lavorano sopra il testo, non dentro il testo. Come diceva un grande critico letterario dell'Ottocento, John Ruskin, un autore non può e non vuole esprimere tutto il suo pensiero, ricorre a oscurità e parabole, così da essere sicuro che siano gli interpreti ad andare a cercare il significato del testo al suo interno, come minatori. Ecco, ho cercato di andare a cercare l'oro nella miniera, cercando di afferrare l'odore dei personaggi, come mi suggeriva Ennio Flaiano».
Quando si mette in scena una tragedia antica si deve sempre affrontare la questione di come gestire il coro...
«All'inizio dello spettacolo il coro è formato da tutti i personaggi, che man mano se ne distaccano per continuare il loro percorso scenico. Una scelta che rispecchia le forme primordiali della tragedia greca, nata con un coro che interpretava tutti i protagonisti».
Avete attualizzato il testo?
«L'Antigone è un testo così universale, parla di questioni ancora oggi così attuali che non c'è bisogno di portare in scena Creonte in frac o in divisa nazista o di rappresentare Antigone come una terrorista.

I costumi di Guido Fiorato rimandano a un'imprecisata epoca antica, mentre abbiamo abolito le scenografie: saranno le luci e la parole a inquadrare il testo, il Teatro nella sua totale nudità, come ho scritto nel programma di sala».

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