L’ultimatum di Umberto Bossi cala come una scure sotto le guglie del Duomo, quando il mega raduno leghista del «barbari sognanti» volge al termine. A chi si aspettava il taglio di una testa da scegliere tra quelle dei suoi gladiatori Bobo Maroni o Marco Reguzzoni, il Senatùr risponde con un colpo di teatro. E ai 65mila offre sul vassoio ben altro trofeo. «A Berlusconi do un suggerimento, la Lega ti chiede di far cadere questo governo infame di Monti o non riuscirà a tenere in piedi quello della Lombardia, dove ne stanno arrestando uno al giorno». Perfetta strategia per ricompattare il partito e mettere sulla spine in un colpo solo un quasi-alleato come l’ex premier Silvio Berlusconi che scalpita per tornare a Palazzo Chigi e un compagno di viaggio ingombrante come Roberto Formigoni a cui Bossi vuol soffiare la poltrona di governatore. Un modo per spostare al di fuori del Carroccio il conflitto tra maroniani e Cerchio magico che avvelena gli animi. E per dare al «popolo padano» un obiettivo comune. O ancor meglio un bersaglio, la condizione in cui un partito da sempre più di lotta che di governo si esalta. Così come nella disciplina. E, infatti, anche ieri (a parte qualche fischio) non si sono visti gli scontri tra fazioni che qualcuno aveva temuto alla vigilia. Al massimo un cartello goliardico in arrivo dal Veneto («I Tosi coi maroni smontano i cerchioni»). Dove «tosi» sta sia per ragazzi che per il sindaco di Verona e i cerchioni sono i fedelissimi bossiani tra cui Reguzzoni. Ma altrettanto velenoso è lo striscione che mette altro sale sulla ferita dei finanziamenti mai visti dalle sezioni e dirottati chissà dove dal segretario amministrativo Francesco Belsito («La Padania è un bel luogo, la Tanzania e un bel-sito»). Una guerra interna da disinnescare al più presto. E, infatti, la minaccia di staccare la spina alla giunta Formigoni è ribadita forte anche durante il consiglio federale. «Alle prossime avvisaglie di manette - ha detto ai colonnelli abbandonando i toni da comizio - in Regione Lombardia si va tutti a casa». Una linea confermata anche all’uscita. «Nessun ricatto, mi pare che in Lombardia ci siano delle vicende giudiziarie in corso. Noi facciamo politica, nessun ricatto».
Una linea a cui il governatore Roberto Formigoni è costretto a replicare duro. «Non è interesse di nessuno - le sue parole - innescare reazioni a catena che metterebbero a rischio diverse amministrazioni del Nord». Così come da Roma replica a Bossi anche il sindaco Gianni Alemanno. «Le rozze e disgustose minacce di Bossi vanno rinviate al mittente. Non possiamo e non vogliamo accettare ricatti, anche perché la Lega non ha i numeri per far cadere la giunta della Lombardia, mentre il Pdl è determinante per sostenere i governatori leghisti del Veneto e del Piemonte». Ma il problema c’è. «Abbiamo valutazioni diverse in sede nazionale sul governo Monti, ma - cerca di ricucire Formigoni - in Lombardia, Veneto e Piemonte e in tante province e città, abbiamo fatto accordi elettorali davanti ai cittadini e abbiamo tutti il dovere di rispettarli». Le indagini in corso? «Non riguardano la giunta, ma consiglieri di opposizione e di maggioranza, non solo Pdl». E qui l’accenno ben poco sibillino all’assessore leghista Monica Rizza, tutt’ora indagata per i falsi dossier raccolti sugli avversari politici.
Mentre Bossi non perde l’occasione per arruolare tra i suoi anche il cardinale Angelo Scola. «Avete notato che abbiamo iniziato in ritardo. Lo abbiamo fatto perché celebrava la Messa in Duomo un nostro amico che è arcivescovo di Milano ed è stato patriarca di Venezia, uno che è nato a Lecco, era a Venezia e il Papa nella sua saggezza ha mandato a Milano. Scola dica una preghiera per la Padania». Non solo. «Siamo davanti al tuo grande Duomo, non volevamo che gli schiamazzi disturbassero la Messa». Mentre durissimo arriva da Roma l’attacco a Formigoni del sindaco Giuliano Pisapia. «Vi porto una buona notizia - ha esordito nel suo intervento all’assemblea dei vendoliani di Sinistra ecologia e libertà in svolgimento ieri a Roma - Bossi è stato fischiato dai militanti della Lega». E picchia duro.
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