Milano - Ma tanto lei non è mica così. Arriva placida, magra come Twiggy, ed esibisce una voce flautata che neppure Terence Hill in Don Matteo. Un cappuccino, per favore. Lei, a dire il vero, assomiglia poco a suo padre Serge che a quest’ora, è mezzogiorno, avrebbe avuto ancora la faccia sgualcita. E poco pure a sua mamma, Jane Birkin, che al mattino non scende neanche dal letto senza avere almeno l’eyeliner sui bellissimi occhi turchesi. Charlotte Gainsbourg è un vulcano in sonno. Lei, che ha due palle nere che ti guardano fisso, ha appena pubblicato un cd che è il suo migliore, meglio del già bello 5.55, e ha un titolo che è quasi un manifesto esistenziale per chi, come lei, può concedersi lo sberleffo psicanalitico senza sciogliersi nella banalità o nella supercazzola che fa tanto fine ma impegna perché non si capisce mai. E dopo bisogna farsela spiegare.
Però, Charlotte Gainsbourg, il titolo parte male: «Irm» in francese è la sigla della risonanza magnetica.
«Nel 2007 ho avuto un incidente in America correndo su di una moto d’acqua. Ho dovuto fare molti esami per un’emorragia celebrale e quello mi è sembrato il punto di partenza giusto per un disco come questo.
Che quindi parla di morte o di paura della morte.
«Ma non solo».
Lei è figlia d’arte. Suo padre è partito da Boris Vian ed è arrivato fino al reggae. Ha scritto canzoni e poesia, dipinto, girato film e ispirato pure i cantautori italiani. E l’ha fatta esordire come cantante.
«Avevo 13 anni, nel 1984».
Era «Lemon incest»: parlava di incesto, in Francia fu uno scandalo grosso così.
«Ma lo rifarei subito, fu un’esperienza magica. Io ero a scuola, non mi sono accorta di quello che succedeva intorno. Mio padre invece era molto preoccupato».
Anche sua mamma Jane Birkin fece scandalo nel 1968 cantando con suo padre «Je t’aime.... moi non plus». Aveva una voce da call center erotico. Adesso, anche grazie a quel brano, è un’icona: Hermès ha creato una borsa che è un classico, la Birkin Bag. Victoria Beckham l’ha pagata 120mila euro.
«Io ammiro mia madre per la sua continua voglia di sperimentare e rinnovarsi».
Dono di famiglia, pare.
«Se penso alle canzoni di mio padre, mi accorgo che ha lavorato molto bene. E scopro che la gente spesso lo conosce molto meglio di me».
Essendo figlia d’arte, aveva l’imbarazzo della scelta. Però non ha mai scelto: è cantante ma anche attrice. È appena stata miglior attrice all’ultimo Festival di Cannes.
«Con Antichrist di Lars von Trier».
Un mattone horror nel quale lei, in una scena tra l’altro intensissima, fa l’amore disperatamente dopo la morte di suo figlio.
«Lars mi ha presa di peso e messa dentro il suo mondo».
Invece Beck Hansen, con cui ha registrato questo «Irm», no?
«Con lui ho sempre avuto l’impressione che fosse sempre il mio album. Diciamo che è stato un lungo viaggio e mi piace di aver sperimentato cose nuove».
«Heaven can wait» sembra, con tutto il rispetto, composta dai Beatles.
«È stata la prima dell’album. Ma con Beck non ci si ripete mai e le altre sono diverse. Io voglio cambiare».
Sembra di sentir parlare Carla Bruni.
«Il suo primo disco era più bello, il secondo più complicato. Lei ha una bella voce. Certo, adesso che è la moglie di Sarkozy, tutto quello che fa deve essere più ragionato».
Siete quasi coetanee ma lei ha già due figli avuti con l’attore regista Yvan Attal.
«Ma con loro sono molto meno calma e rilassata di come sembro qui adesso. Per di più sono sempre in giro».
Li sgrida in francese o inglese?
«Il francese è più autorevole».
Scusi ma preferisce cantare o recitare?
«Per ora alterno. A maggio dovrei iniziare un nuovo film».
Quale?
«Troppo presto per parlarne».
La solita scusa.
«Non ci sono ancora i dettagli. Ma prima, intorno a marzo, andrò in tournée. Verrò anche, spero, in Italia con la mia piccola band».
Ma lo sa che il suo disco praticamente ruota intorno
«Quello è solo un punto di partenza per parlare d’altro. In fondo anche il termine «risonanza magnetica» può sembrare molto freddo. Però, a ben pensarci, ha anche un bel po’ di sfumature poetiche».
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