Cronaca locale

C’è un’altra via Padova "Noi siamo stranieri ma vogliamo la polizia"

Nella strada simbolo della difficoltà di integrarsi, testimonianze inaspettate sulla voglia di legalità

C’è un’altra via Padova 
"Noi siamo stranieri  
ma vogliamo la polizia"

All’improvviso lo assale un dubbio. E ci tiene, eccome, a precisare. Ostenta così un italiano perfetto, quasi colto, comunque senza sbavature grammaticali: una lingua che non t’aspetti, insomma, in bocca a un nordafricano. E una conoscenza di certe dinamiche che un po’ fa vergognare. "Perché sai cara, quando voi giornalisti parlate con noi, vi viene facile fare di tutta l’erba un fascio, vi piace fare colore...Ma non siamo mica tutti pezzi di fango qui in via Padova: spacciatori, rapinatori, balordi insomma. E la polizia, i carabinieri, i vigili, tutti quelli insomma che hanno lavorato e continuano a lavorare qui in questi giorni, lo sanno bene che tra noi stranieri ci sono molte brave persone. Che non hanno esitato a ringraziarli per quanto stanno facendo".
Via Padova: il 13 febbraio è lontano. Quel pomeriggio in cui gli stranieri diedero vita a quattro ore di follia totale - con danneggiamenti di auto e negozi dopo l’omicidio di Ahmed Abdel Aziz el Sayed Abdou, un ragazzo di quasi vent’anni arrivato in Italia dall’Egitto e morto accoltellato da tre sudamericani - adesso sembra essere accaduto altrove. Ahmed Abbah, 35 anni, egiziano, laureato in medicina e specializzando in cardiochirurgia, sa di essere un ragazzo fortunato. Non rinnega però le sue origini, la sua appartenenza al quel popolo maghrebino che a Milano viene automatico identificare con pizzaioli e spacciatori. E senza stigmatizzare poi tanto.
"Mia sorella quella sera era qui... - racconta agitando le mani grandi e nervose e indicando l’abitazione di via Arquà (la traversa di via Padova dove l’83 per cento dei residenti sono stranieri) -. Ha anche testimoniato con la polizia, per le indagini sugli assassini di quel povero ragazzo. Vorremmo che cominciaste a realizzarla questa integrazione. E qui le leggi non c’entrano. Ci vuole la gente, serve il cuore, serve la volontà di pensare "quello lì c’avrà pure la faccia scura, non saprà parlare, ma è qui che lavora, fa il suo dovere, è una persona per bene". Ecco: basterebbe pensare a noi come a delle persone. Persone che sono grate a questi uomini delle forze dell’ordine perché cercano di liberarci dalla marmaglia...Si dice così, no?".
La "marmaglia2 la noti subito. In via Padova e dintorni ce n’è tanta. "Anche quel ragazzo ucciso per una cavolata il 13 febbraio, il pizzaiolo egiziano, si dice fosse in realtà un piccolo spacciatore... - sorride amara Alina, una bella e longilinea ragazza tunisina che fa la barista in un locale alle Colonne di San Lorenzo, 21 anni e gli occhi da cerbiattona - Ecco: noi quella gente lì non la vogliamo da queste parti...Non sono immigrati. Sono persone che fanno male a tutto il mondo degli extracomunitari. Se i carabinieri ce li tolgono di torno, beh, semplicemente ci fanno un piacere. Ecco perché quando torno a casa la notte non mi sento assediata, circondata, ma fiera di essere protetta. Come una ragazza italiana".
Aziz Khadoul, tunisino, 35 anni, lavora nei cantieri. Ogni giorno, dalla sua abitazione di via Bengasi, si aggrega agli altri operai giornalieri davanti all’edicola di piazzale Lotto con gli scarponi, i jeans sdruciti, il giubbotto e il cappellino con la visiera. "Mia moglie fa la badante in una famiglia alla Bicocca, abbiamo tre figli. Ci tengo ad avere amici tra i poliziotti e i carabinieri... - assicura -. La gente in divisa da queste parti serve. Poi se ti comporti bene non hai nulla da temere.

E quella giornata di follia, a febbraio, forse è servita a far capire che via Padova e dintorni vanno presidiati".

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