«Realizzare un record dà popolarità ad un mondo che altrimenti non ne avrebbe». Maurizio Orlandi, curatore da 26 anni delledizione italiana del Guinness World Record ha mille risposte da dare sul motivo del successo del libro, ma una sembra prevalere sulle altre: «Lidea geniale è quella di rendere pubblici dei talenti specifici che altrimenti sarebbero passati sotto silenzio».
Secondo lei perché tutta questa curiostà intorno ai primati mondiali?
«Anche se mi occupo del libro da molti anni ogni edizione è per me un nuovo motivo di stupore e di interesse e questo perché non si tratta di unopera monotematica. Ma di unenciclopedia dellestremo umano senza limiti di disciplina che tocca quindi interessi universali. Ce nè per tutti i gusti, dal mondo naturale alle opere dingegneria, dallarte allo sport fino alla musica. È difficile non attrarre la curiosità di chiunque. E poi, linteresse è anche dettato dal fatto che siamo stati i primi a fare una pubblicazione del genere e non cè mai stato nemmeno un tentativo dimitazione. E questo perché il Guinness è diventato un marchio talmente conosciuto che le iniziative autonome non hanno avuto successo».
Il libro è stato pubblicato in cento Paesi, cè qualche differenza tra le edizioni?
«Prima del 2000 sì, le redazioni nazionali avevano molta autonomia, ma ora lufficio centrale inglese vuole unomologazione delle edizioni. Questo significa che ogni nuovo record deve necessariamente essere approvato da Londra prima di essere inserito a tutti gli effetti nel libro».
Quanto cè di italiano nel Guinness?
«Molto se paragonato alla presenza di asiatici o africani, poca, invece, se confrontato a Francia e Germania. Non cè paragone poi con la presenza di Stati Uniti e Inghilterra dove il mito del Guinness è più radicato».
In cinquantanni di storia come è cambiato?
«Di record si occupava e di record si occupa: rimane sempre un annuario aggiornato di ciò che succede nel mondo. Una sorta di documento dei cambiamenti umani.
Il record più sorprendente?
«Tre minuti e mezzo per risolvere il cubo di Rubik. Ad occhi bendati».
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