Cultura e Spettacoli

"C’è crisi, i tagli sono giusti Il teatro non deve protestare"

Il grande regista Luca Ronconi commenta il contestato decreto Bondi: "Non mi sentirete criticarlo, è in ballo l’economia del Paese"

"C’è crisi, i tagli sono giusti Il teatro non deve protestare"

Sorridente e sicuro di sé, un filo di malinconia nello sguardo che vela la sua leggendaria timidezza, Luca Ronconi, al termine della conferenza-stampa del Piccolo di Milano, non si fa pregare di fronte alle domande pressanti sul futuro del teatro tout court. Ascoltiamolo, ne vale la pena. Ha paura che i tagli ministeriali incidano sul prodotto artistico e quindi sulla qualità dello spettacolo?, gli chiediamo. E lui di rimando: «Se i tagli sono necessari all’economia del paese, è giusto farli e non avversarli. Quindi da me non sentirà mai che non devono essere fatti. Ma semmai come bisogna farli».

Poi si irrigidisce di colpo, ma in cambio mi regala un sorriso. Cambio subito argomento per chiedergli come mai, da qualche tempo a questa parte, oltre alle sue regie di prosa e di lirica, si sia accostato all’ambito delle mostre d’arte. E lui di rimando mi provoca con un dribbling degno di un grande tennista: «Perché vuol saperlo? Lo ritiene incompatibile con me?».

Questo no, ma c’è una bella differenza tra mostrare sulla scena uomini e donne in movimento su un palco e l’assoluta staticità di un quadro, non crede?
«Solo per chi vede una contraddizione tra i vivi che si spostano e i quadri appesi alla parete. Basta cambiarli di posto, mettergli davanti una tenda o illuminarli in modo diverso, ed eccoli, più vivi che mai, richiedere la nostra attenzione, è d’accordo?».

Lasciamo stare, la sua dialettica mi ha sbaragliato. Non mi dica che nel suo prossimo spettacolo noi spettatori vedremo qualcosa di simile.
«In un certo senso sì. Dato che anche nella Compagnia degli uomini...» .

È questo il titolo del testo che metterà in scena?
«Già, è un bellissimo copione di Edward Bond, l’autore inglese che, negli anni sessanta, con Saved, la sua commedia più cruda, provocò una mezza rivoluzione dato che, sulla scena, clochard e mendicanti allo stremo delle proprie risorse lapidavano addirittura un neonato».

Che orrore! Non mi dirà che in questo testo...

«Ma no, che idea! È una commedia su un ben altro tipo di violenza. Parla di conflitti familiari in un contesto che, sia pure alla lontana, ricorda The Damned di Visconti ossia La caduta degli dei».

Ma mi permetta un appunto: possibile che in tutto il suo percorso, noi spettatori non incontriamo mai se non l’ottimismo perlomeno lievità, trasparenza, fiducia nel futuro?
«Lei si sbaglia di grosso. Pensi ai miei spettacoli goldoniani dove, alla fine, la società si trasforma in positivo con la cacciata dei colpevoli mentre si ristabilisce la pace familiare. Si ricorda o no della Serva amorosa?».

Accuso il colpo, non ho niente da dire. Posso solo obiettare che mi ricordo, sì mi ricordo. Ma, e glielo dico, ho ancora una domanda che mi sta a cuore. Cosa farà da grande, dopo aver esplorato ogni campo dello scibile?
«Andiamo, andiamo, non mi prenda in giro! Beh, quando sarò non vecchio, ma stravecchio ho l’ambizione di portare il teatro nelle scuole. Ma non nel senso di montar spettacoli per i giovani, ma come vera e propria materia di insegnamento. Come si fa in Germania, in Inghilterra ed altri paesi».

Oppure?
«Niente.

Mi pare che imparare il teatro sia un correttivo più audace e innovatore che ricorrere allo psicanalista o studiar filosofia a tavolino, non trova?».

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