C’è crisi, la moda diventa «low cost»

Il nuovo lusso? Accessibile a tutti. È quello che gli americani definiscono «low cost high value», la qualità a basso costo, e che qualcuno definisce «caccia all’affare». Vuol dire che oggi si può essere trendy spendendo poco. Le milanesi hanno subito afferrato il concetto, e per loro, specie di questi tempi, il lusso a basso costo è diventato un vero must. Zara ed H&M in testa, ma anche altre catene straniere come Mango, e poi le italiane Tezenis, Oviesse e Upim, che dopo un cambiamento di immagine e di idee sono diventate altrettanto allettanti: sono questi i nuovi templi dello shopping per i milanesi.
E a Milano, come in altre città italiane, è un vero boom del «low cost» di qualità. Solo il negozio Zara di corso Vittorio Emanuele, la catena spagnola che ha rivoluzionato il concetto di moda, ha un volume d’affari annuo di 50 milioni, superando di poco la boutique Gucci di via Montenapo. Mentre per il negozio «storico» di H&M in Vittorio Emanuele si parla di 17 milioni l’anno. Non male se si conta che il mercato italiano della cosiddetta «fast fashion» fattura 4,6 miliardi all’anno. Mentre «l’intero fatturato del low cost di qualità raggiunge i 55 miliardi. Un mercato in continua crescita, legato alla crisi dei modelli di consumo tradizionali e all’esigenza dei consumatori di risparmiare senza rinunciare alla qualità». A spiegare il concetto è Andrea Cinosi, presidente della neonata associazione Assolowcost, che raduna diverse aziende europee (da Ikea a Nau Ottica) che coniugano qualità e prezzi contenuti, e che ieri ha organizzato un convegno sull’affermazione della moda «low cost».
Il lusso diventa allora accessibile a chiunque, ma è anche un gioco, perché «oggi il consumatore è più consapevole: il total look è fuori moda, e agli italiani piace contaminare gli stili. Un esempio? La borsa griffata e i jeans da 35 euro, connubio che piace alle signore della Milano bene», spiega Antonio Achille, manager director del Boston Consulting Group. Il concetto di «low cost», aggiunge, «è stato sdoganato: non ci si vergogna più di mostrare l’etichetta, anzi diventa un valore aggiunto». Allora ecco che chi può, accosta capi firmati e pezzi da grande magazzino, da vero «radical chic» milanese. E chi non può, ricorre alla «fast fashion» senza rinunciare ad essere trendy. Una «rivoluzione silenziosa», spiega Achille, «nata 25 anni fa con i pionieri Zara e Ikea». «È il terzo modello di evoluzione della moda - aggiunge il sociologo dei consumi Vanni Codeluppi - dopo l’alta moda e il prêt-à-porter. Un modello che ci rende più liberi rispetto allo stilista e più attenti a personalizzare il look».
Da economico e seriale a fucina di tendenze: il «prontomoda» si è adeguato agli umori del consumatore. Le tendenze sono veloci, messe sul mercato in tempi da record, con un ciclo produttivo di poche settimane, mentre le proposte delle griffe escono ogni sei mesi. Se poi si aggiunge il fattore emozionale, il gioco è fatto.

E se le vetrine di Zara vendono uno stile di vita, come quelle dei marchi più importanti, H&M da cinque anni fa il tutto esaurito con una collezione disegnata da un grande stilista. Quest'anno, a novembre, sarà la volta di Comme des Garcons, e le patite della caccia all'affare sono già pronte all'assalto.

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