Galeone, il maestro della panchina

Il maestro scomparso ieri a 84 anni

Galeone, il maestro della panchina
00:00 00:00

Spero che stesse sognando il mare. Era, da sempre, il panorama davanti al quale Giovanni Galeone trovava il senso della vita. Ha chiuso il sogno a ottantaquattro anni, ovviamente di domenica, giorno del dio calcio. Uso apposta l'accostamento alla divinità ricordando lo striscione che i tifosi del Pescara, srotolarono lungo la curva dello stadio Adriatico «Dio ha inventato prima il pallone e poi Giovanni Galeone. Giovanni vai a insegnarlo». Non aveva nulla di divino, Giovanni, anzi era umano ai massimi, nel piacere del convivio, del buon vino, del cibo giusto, delle amicizie trasparenti che lui frequentava e alimentava con discrezione, anche se gli garbava, eccome, la fuga trasgressiva, la fuitina di pensieri. In alcune posture, gli occhi socchiusi, il mezzo sorriso e l'intelligenza raffinata, faceva ricordare Manlio Scopigno, altro astuto uomo di football e di panchina. Galeone era nato a Napoli ma all'età della prima elementare suo padre, ingegnere dell'Ilva, fu trasferito a Trieste e dunque Giovanni fece l'infante con la valigia in un dopoguerra affollato di speranze. Il calcio gli entrò in testa perché amava divertirsi con il pallone, usando il cervello oltre ai piedi, la famiglia era agiata, il ragazzo studiava da ragioniere ma pensava da artista, leggeva Sartre e citava Le mani sporche mentre i suoi sodali se la spassavano con le mule. Alternava la pallacanestro al calcio e trovò la compagnia di Fabio Cudicini, provò con la Ponziana poi andò al Monza e all'Udinese, gli valsero le convocazioni nella nazionale juniores nella quale circolava gente come, Albertosi e Trapattoni, Facchetti, Sandro Salvadore e Mariolino Corso da San Michele extra, futuro campione di tutto con la leggendaria Inter di Moratti. La squadra vinse l'europeo battendo in finale l'Inghilterra, Galeone fu nominato capitano, per anagrafe e intelligenza.

Aveva voglia di insegnarlo, il football, più che di giocarlo, Pordenone e Adriese come asilo d'avvio, dopo il diploma a Coverciano arrivò la Cremonese in serie C, Domenico Luzzara, il presidente della grande Cremo di Luca Vialli, fu costretto a licenziarlo dopo 13 risultati disastrosi, per dare il posto a Daniele Fortini, in quella squadra figurava Emiliano Mondonico, un altro genio solitario delle panchine nostrane. Erano anni difficili, molte, troppe avventure sbagliate, alla voce esoneri e poi la Spal, un anno felice, il secondo di nuovo acido, a casa dopo sei giornate, richiamato nella fase finale. Ma, quasi per caso, arrivò il Pescara. Fu invitato a una festa per la promozione del Modena in serie B, il presidente portava un cognome famoso, Farina, era Francesco figlio di Giussi. Già illustre di Vicenza e Milan e di mille altre faccende. Fu proprio Francesco a suggerire il nome di Galeone a Franco Manni, direttore sportivo del Pescara. La squadra, retrocessa in B, fu ripescata dopo la radiazione del Palermo per fallimento. Manni ci pensò su, aveva grande esperienza di football con l'Inter di Fraizzoli, alla fine si convinse e telefonò a Galeone in vacanza in Sardegna. Fu un miracolo. Il Pescara vinse clamorosamente il campionato con la vittoria decisiva sul Parma di Arrigo Sacchi, all'ultima giornata.

Il nome di Giovanni Galeone incominciò a prendere fama e titoli e interviste sui giornali, il Pescara giocava come in Paradiso, si raccontò di una lunghissima (cinque ore) telefonata notturna con Silvio Berlusconi su tutto lo scibile calcistico e no. I migliori anni della sua vita, dunque, mentre attorno girava gente di gloria certa, Liedholm era il preferito, per eleganza e rispetto anche se il football del Barone svedese non era proprio il massimo del godimento. Ovviamente se scrivi Pescara pensi anche a Massimiliano Allegri che di quella squadra era la «prolunga» in campo di Giovanni. Nacque, tra i due, una entente cordiale che si sarebbe consolidata per diventare quasi un rapporto di docente ad allievo, sfruttata, in modo stucchevole, dalla stampa di corte e Giovanni ne godeva.

Dagli almanacchi risulta che abbia allenato anche Zico ma il suo personale, privato, esclusivo calciatore d'oro è stato Sliskovic, bosniaco di doti uniche, sodale di Leo Junior in quel Pescara da mille e una notte.

Del calcio di oggi, di quello italiano, non accettava né il ritmo, né la mentalità dei narcisi del tikitaka, della costruzione dal basso, del palleggio cocciuto, ne parlava con gli amici veri davanti ad una buona bottiglia di friulano, non ha mai confessato rimpianti, ha

saputo vivere e divertirsi, amando la stessa donna e moglie, Annamaria, portandosi appresso, con gloria clandestina, la fama di viveur e tombeur des femmes. Gli va l'onore di non avere mai mentito. Come il mare davanti a lui.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica