Vergognoso escludere Israele dallo sport

Lo sport, se ha ancora un senso, dovrebbe rappresentare un terreno franco, libero dalle polemiche ideologiche e dalle ossessioni della propaganda

La nazionale israeliana con i kit di gara Puma, immagini di repertorio
La nazionale israeliana con i kit di gara Puma, immagini di repertorio
00:00 00:00

Gentile Direttore Feltri, mi permetto di disturbarla per chiederle un parere su una questione che in questi giorni sta accendendo polemiche: la partita di calcio tra Italia e Israele, prevista per il prossimo 14 ottobre a Udine. Si parla di pressioni per sospendere l'incontro, addirittura di un'esclusione di Israele dalle competizioni Uefa. C'è chi sostiene che, alla luce della guerra in corso, sarebbe giusto non far giocare Israele, e chi invece grida allo scandalo. Lei cosa ne pensa?

Gianni Riva

Caro Gianni,
lo dico senza mezzi termini: l'ipotesi di sospendere Israele, di cancellarne le partite, di estrometterla dalla UEFA è una vergogna che grida vendetta al cielo. Lo sport, se ha ancora un senso, dovrebbe rappresentare un terreno franco, libero dalle polemiche ideologiche e dalle ossessioni della propaganda. Dovrebbe incarnare i valori della lealtà, della solidarietà, della competizione sana, dell'incontro fra popoli e culture. Non è mai stato concepito per diventare un campo di battaglia politica, né tantomeno per trasformarsi in un tribunale dove si emettono sentenze contro intere Nazioni. Chi oggi pretende l'esclusione di Israele non sta difendendo la pace, ma sta spalancando le porte all'antisemitismo più sfacciato. È un fatto: quando il terrorismo islamico ha scatenato l'inferno il 7 ottobre, Israele si è trovato sotto attacco, con migliaia di cittadini ebrei massacrati, donne violentate e mutilate, bambini sgozzati, oltre cento ostaggi sequestrati e tuttora tenuti nelle prigioni di Hamas. Eppure, in questa follia del politicamente corretto, il Paese aggredito viene trattato da carnefice, mentre i veri carnefici vengono santificati e dipinti come vittime.

Ora si vorrebbe addirittura punire gli atleti israeliani, che non hanno colpe se non quella di portare la maglia della loro nazionale. È un'operazione disgustosa, che non ha nulla a che vedere con la pace, con la giustizia o con lo sport. È discriminazione pura, è antisemitismo travestito da pacifismo.

Se si accettasse una simile deriva, vorrebbe dire piegare lo sport alle pulsioni dei fanatici di piazza, trasformare le federazioni calcistiche in succursali delle ideologie più becere. Non può funzionare così. Israele deve giocare, e l'Italia deve giocare contro Israele. Chi protesta ha tutto il diritto di farlo, ma entro i limiti della legalità. Se le piazze si trasformano in campi di battaglia, allora intervenga la forza pubblica: non è pensabile che lo Stato rinunci a garantire un evento sportivo per paura dei facinorosi.

Caro Gianni, qui non è in discussione solo una partita di calcio. Qui è in gioco il principio stesso di civiltà: non si può espellere un popolo intero dal consesso sportivo soltanto perché una parte dell'opinione pubblica, accecata dall'odio o dalla propaganda, lo ha eletto a nemico. Sarebbe come dire che l'ebreo non può correre, non può ballare, non può giocare, non può vivere. È già successo nella storia, e sappiamo come è andata a finire.

Non ripetiamo gli errori. Israele deve restare dentro, deve scendere in campo, deve essere trattato come ogni altra Nazione. E noi dobbiamo avere il coraggio di dire basta alla codardia rivestita di finte buone intenzioni.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica