Gli scudetti vinti sul campo sono tutti meritati compresi quelli della Juve; e i titoli vinti in carriera sono «17 o 15, dipende dalla valutazione...» con l'evidente riferimento ai successi revocati dalla giustizia sportiva. A giudicare dalle affermazioni fatte oggi nell'aula della nona sezione del Tribunale, dove è ripreso il processo di Calciopoli, sembrerebbe che Alessandro Del Piero abbia voluto strizzare l'occhio ai tifosi bianconeri, una cui ridotta pattuglia segue con palpitazione l'udienza, come ormai da oltre un anno avviene ogni maledetto martedì, stipata dietro le transenne. Ma non è così. Il capitano della Juventus è stato convocato come testimone dalla difesa dell'ex arbitro Massimo De Santis e tra le domande alle quali è chiamato a rispondere ve ne sono anche alcune che, come dicono gli addetti al lavori, non hanno uno stretto rilievo processuale ma toccano le corde più sensibili dei supporter.
«Lei quanti titoli ha vinto in carriera?», chiede il legale di De Santis, l'avvocato Paolo Gallitelli. «17 o 15, dipende dalla valutazione...», dice il campione juventino con un sorriso più eloquente di mille parole. Ha avuto la percezione che le vittorie della Juve siano state determinate da situazioni arbitrali favorevoli? «Vabbè ma la risposta è scontata», interrompe con una battuta scherzosa ma non troppo il presidente del Tribunale Teresa Casoria. Ma Del Piero non si limita a rispondere no: «qualunque squadra che ha vinto il campionato se l'è meritato e la Juve come le altre». Il botta e risposta ha poi riguardato le questioni centrali che hanno indotto la difesa a citare Del Piero come testimone, ovvero il comportamento in campo di De Santis nelle partite in cui era impegnata la Juve. Ciò per confutare l'accusa dei presunti favoritismi. E qui le risposte del Capitano sono state necessariamente più sfumate, accompagnate da tanti «non ricordo» o da ricordi assai labili. E la motivazione l'ha spiegata senza giri di parole lo stesso Del Piero: «Ho giocato più di 700 partite e fortunatamente non mi ricordo degli arbitri».
Si parte da Lecce-Juve, vinta dai bianconeri proprio con un suo gol, giocata sotto la pioggia su un campo ai limiti. Del Piero dice che le condizioni per giocare c'erano e che De Santis, come da regolamento, ascoltò prima della gara lui e il capitano della squadra avversaria: «Ma non c'erano le condizioni per sospendere, l'atteggiamento generale era di giocare la partita». Palermo-Juve del 2005, ricorda un rigore non convesso alla Juve per un fallo su Zambrotta? «Non ricordo, ricordo le proteste». Parma-Juve dello stesso anno. C'era un fallo di mano in area da parte del Parma, rileva l'avvocato.
«Si, ci furono proteste da parte nostra». Ricorda Juve-Inter di quell'anno?. «Abbiamo pareggiato». L'avvocato gli rammenta che l'esito fu diverso. «Può essere che perdemmo, non ricordo l'arbitro». La memoria di quella partita è viva solo su uno scontro tra Cordoba e Ibrahimovic, che allora guidava l'attacco juventino. L'arbitro non vide l'episodio, con la prova tv furono inflitte 3 giornate di squalifica a Ibrahimovic che saltò Milan-Juve (la partita decisiva per l'assegnazione dello scudetto, ndr). E i ricordi sono vivi anche su una espulsione inflittagli da De Santis (durante una partita a Udine), ma probabilmente per il semplice fatto che in tutta la sua carriera di cartellini rossi ne ha collezionati appena due.
L'udienza è proseguita con le testimonianze, tra le altre, dell'arbitro Paolo Tagliavento, quarto uomo della famosa Lecce-Parma 3-3, del portiere della Fiorentina Sebastian Frey (all'epoca dei fatti estremo difensore del Parma), del difensore Alessandro Gamberini (ex Bologna), di Angelo Di Livio (ex Fiorentina). Di Livio si è soffermato sul famoso fallo di mano non sanzionato al laziale Zauri durante Fiorentina-Lazio. «Rosetti non vide, qualcuno protestò, io no anche perchè la Lazio era ripartita in contropiede».
Ha deposto infine il guardalinee Giuseppe Farneti, sempre su Parma-Juve, arbitrata da De Santis. Si è parlato di un presunto rigore per un mani in area non assegnato ai bianconeri: «Lo giudicai involontario, tanto è vero che non intervenni, il calcio di rigore non esisteva. Non ricordo particolari proteste, nello spogliatoio venne Moggi: mi disse che avrei dovuto portare gli occhiali». I pm Capuano e Narducci insistono su questa circostanza.
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