Roma - È finita con i fischi e le urla «buffone, buffone!» rivolte all’indirizzo del capogruppo finiano Italo Bocchino. Ma per la maggioranza è stato un brutto martedì a Montecitorio: il governo è stato battuto per ben tre volte sulle mozioni riguardanti il Trattato Italia- Libia che le opposizioni chiedevano di modificare attraverso una sospensione della politica dei respingimenti da parte di Tripoli.
Questa la paradossale cronaca. Il radicale in quota Pd Mecacci ha presentato un emendamento al documento inizialmente sostenuto da Pdl e Lega con il quale si impegna l’esecutivo a rivedere il Trattato inserendovi le garanzie in materia di diritti umani previste dalla Costituzione e dal diritto internazionale e ad attivarsi per la riapertura dell’ufficio libico dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati. In pratica mandando a monte l’accordo con Gheddafi, propugnato da Prodi e concluso da Berlusconi, che ha ridotto notevolmente gli sbarchi di clandestini sulle coste italiane. Tra le altre «fantasiose» previsioni del dispositivo la possibilità per i pescherecci siciliani di pescare in acque internazionali senza incorrere nelle vedette libiche e, soprattutto, risarcimenti per gli italiani espulsi dopo la rivoluzione del 1969 e per le imprese che vantano crediti verso la Libia.
Il risultato è stato sconfortante: maggioranza battuta 261 a 274. Questo perché i finiani guidati dal vicecapogruppo Benedetto Della Vedova hanno pensato bene di cambiare posizione. La exmaggioranza Pdl-Lega non è riuscita nemmeno a ritirare la propria mozione emendata da Mecacci perché Fli l’ha fatta propria e l’ha fatta approvare con i voti di Udc, Pd e Idv (281-270). Stesso risultato anche per la mozione più tenue dell’Udc (281-269).Il paradosso è che i finiani hanno squadernato la maggioranza su un tema fondamentale come sicurezza e immigrazione appoggiandosi a un radicale come Mecacci (stessa scuola di Della Vedova) nel quale il Pd stesso non credeva.Tant’è vero che l’ex ministro degli Esteri Massimo D’Alema, pur maramaldeggiando sulla «maggioranza che non c’è più», ha rilevato che l’emendamento poteva essere accolto senza inasprire il confronto.
I finiani ormai non perdono occasione per mercanteggiare favori (come sulla legge di stabilità), far pesare la propria consistenza e, contestualmente indebolire, il presidente del Consiglio. «Dobbiamo far capire a Berlusconi che senza i voti di Fini non va da nessuna parte», ha detto ieri Bocchino convincendo, anche con le maniere spicce i propri colleghi a votare contro quel trattato che due anni fa avevano approvato. È stato in quel frangente che il Masaniello di Fli s’è beccato i boati di disapprovazione di Pdl e Lega anche se non è riuscito a riportare nell’ovile alcuni colleghi tra i quali Menia, Moffa, Lamorte e altri. Alcuni come Consolo hanno dichiarato di non essersi accorti del cambio di indicazione.
Ma aggrapparsi a distrazioni, indecisioni e questioni personali non può diventare lo sport principale della maggioranza. Che alla Camera, inoltre, ha sempre avuto il suo bel da fare a recuperare ministri, sottosegretari e assenti a vario titolo. Non è mancato il solito côté da saloon. Con i pidiellini a urlare «Bravi, bravi» ai finiani e con l’intemerata di Maurizio Bianconi che ha sfiorato lo scontro fisico con il sottosegretario Fli Roberto Menia, trattenuto a stento dal coordinatore del Pdl Verdini. Anche l’appello alla ragionevolezza del ministro degli Esteri, Franco Frattini, è caduto nel vuoto. «Se il Parlamento ritiene di seguire la linea dell’Unione europea, usiamo il linguaggio usato dall’Ue, altrimenti noi vogliamo dire: aprire le porte, rompendo la collaborazione migratoria a tutti coloro che vorranno entrare illegalmente», ha implorato.
All’uscita dall’Aula i deputati berlusconiani meditavano propositi di rivincita nella prossima campagna elettorale. «Tappezzeremo tutte le città d’Italia con migliaia di manifesti nei quali si vedrà la faccia di Fini accanto ai barconi pieni di immigrati. È lui che vuole l’immigrazione clandestina », prometteva un deputato.
Il voto di ieri cambierà qualcosa nella politica del governo? No. Ma certifica che la crisi è ormai conclamata.D’altronde, anche Prodi nel 2007 cadde la prima volta sulla politica estera, impallinato dai comunisti pacifisti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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