Lunica certezza è che il premier mai eletto, il leader dalle sette vite, il laburista cresciuto allombra di Tony Blair, lartefice di dieci anni di boom economico e il protagonista della caduta più rovinosa degli ultimi settantanni, si farà da parte. Lunica certezza, nei giorni più convulsi che la storia politica britannica ricordi da molti decenni a questa parte, è che Gordon Brown uscirà di scena dopo 13 anni di governo, da Cancelliere dello Scacchiere prima e da successore di Blair dopo: «Ho chiesto al mio partito di iniziare la scelta di un nuovo leader», ha detto ieri davanti a Downing street, la residenza che in questi giorni ha presidiato come un Macbeth accerchiato nel suo castello. La mossa più attesa - quella che gli inglesi avevano chiesto a gran voce nei sondaggi e che il partito da tempo sollecitava - alla fine è arrivata.
Il premier non aveva scelta nel giorno in cui le voci di un accordo tra i conservatori di David Cameron e i liberaldemocratici di Nick Clegg per la formazione di un nuovo governo si sono fatte sempre più insistenti. Sotto il pressing di un partito deluso per il risultato elettorale, timoroso di perdere le chance di unintesa con i Libdem e perdere la possibilità di restare al governo per un quarto e storico mandato, Brown se ne va nel tentativo di mandare allaria i colloqui «costruttivi» tra Cameron e Clegg. E semina zizzania fra i due, dicendo quello che tutti sanno, cioè che il leader dei Libdem è aperto a un confronto con il Labour: «Clegg mi ha informato che intende dare il via a negoziati con il partito laburista mentre continuano le discussioni con i conservatori». È il via a consultazioni «formali», una mossa che aumenta le possibilità di un avvicinamento tra Labour e Libdem, specie ora che Brown, il principale ostacolo a unintesa con i liberali, ha annunciato che uscirà di scena. E specie se - come sembra - a succedergli potrebbe essere il giovane delfino di Blair, il ministro degli Esteri più giovane degli ultimi trentanni, il quarantaquattrenne David Miliband, in corsa con il peso massimo Ed Balls, ministro dellIstruzione. Più tardi è lo stesso Clegg a confermare, definendo laddio di Brown «un elemento importante» per i negoziati coi laburisti. Eppure il leader dei Libdem potrebbe semplicemente voler usare lannuncio di unapertura di dialogo formale con i laburisti per alzare la posta con i conservatori.
Poche ore prima, infatti, il tempo per unintesa Labour-Libdem sembrava scaduto. I colloqui tra conservatori e liberali viaggiano spediti. Oltre allobiettivo della stabilità economica, da raggiungere attraverso la riduzione del deficit, di mezzo cè la riforma elettorale, la questione che più preme agli elettori liberaldemocratici e che finora più li ha divisi dai conservatori. Ma unintesa potrebbe già essere formalizzata entro pochi giorni e David Cameron finalmente sedere a Downing street. I conservatori in serata annunciano di aver offerto ai Libdem quello che volevano e che anche Brown aveva messo sul piatto subito dopo il voto: un referendum sulla riforma elettorale. «Unofferta finale», la definiscono i Tory. «Con le migliori intenzioni - ha detto George Osborne in qualità di negoziatore - stiamo facendo unofferta al liberaldemocratici per un governo forte, stabile, con una notevole maggioranza parlamentare, di coalizione, e per un referendum sul sistema di voto alternativo».
Unofferta difficile da rifiutare. Nonostante le molte divergenze, Clegg sa che la maggioranza - seppur relativa, è in mano ai Tory, che hanno guadagnato due milioni di voti nelle elezioni di giovedì.
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