Pechino 2008

Cammarelle, medaglia in salsa russa

Dopo un russo un altro pugile italiano approda alle semifinali. Il segreto della nostra boxe è anche il tecnico Filimonov, erede della scuola sovietica

Cammarelle, medaglia in salsa russa

Pechino - Due medaglie e ancora non bastano. La boxe italiana è l’ultima, e forse più impensabile, immagine del miracolo italiano nello sport. Quasi decapitata nel professionismo, aggrappata a pochi talenti fra i dilettanti, fa raccolto come fosse una delle cinque potenze del mondo. Difficile capire: dopo Los Angeles 1984 (5 medaglie), il nostro pugilato si è limitato a brutte figure e talvolta alla medaglia del buon ricordo. Oggi siamo qui a sentire Francesco Damiani, che ora fa il ct ma da Los Angeles portò a casa un argento, lanciare idee a rischio. «Due bronzi sono niente. Finissimo così, per me sarebbe un fallimento. Pretendo due finali e credo anche alla medaglia di Picardi». Vincenzo Picardi è un peso mosca napoletano e domani combatterà il suo quarto di finale contro il tunisino Walid Cherif.

Dunque anche la gamma delle nostre taglie è di ampio respiro. Si va dal piccoletto peso mosca all’armadio Clemente Russo, un peso massimo. Fino a Roberto Cammarelle, il gigantone supermassimo dalla schiena di vetro e la testa svagata che ha acchiappato la semifinale battendo ai punti (9-5) il mediocre colombiano Oscar Rivas. Secondo pedigree, Cammarelle dovrebbe essere il migliore dei nostri pugili, attuale campione del mondo e medaglia di bronzo ad Atene. Ma, visto ieri, potrebbe essere l’uomo che gratifica di minor garanzie. Svogliato, anziché pugni tirava buffetti, padrone di una tecnica eccellente («la migliore fra i nostri boxeur», sostiene Damiani), ma con quella testa che non ti lascia tranquillo. Damiani lo avrebbe preso a pugni di persona. Si è limitato agli insulti faccia a faccia. «Ci vuole convinzione, determinazione. Se non ti svegli tu, ti svegliano gli altri. Siamo all’Olimpiade, non si può combattere così».

Dovrà svegliarsi in tempo per affrontare l’inglese David Price che, a sua volta, ha risolto in fretta il match con il lituano Jaksto: caviglia distorta nel secondo round e fine. «Un tipo già battuto facilmente quattro anni fa agli europei», ricorda Cammarelle che, subiti i rimproveri di Damiani, ha presentato la scusa. «Non volevo spendere tanto. All’inizio non ero lucido. Ho dato quanto serviva».

Ma dietro questo imprevisto benessere della boxe italiana, cosa si nasconde? Un bastone russo e una carota italiana, anzi romagnola. Il bastone è quello di Vasilij Filimonov che, stranamente, la guida azzurra del Coni definisce commissario tecnico, mentre Damiani, che è ct, soltanto «funzionario». Però conta la sostanza. E questa la spiega Damiani: «Il russo ha cambiato metodologia d’allenamento, insegnato come stare sul ring. Grazie a lui siamo andati ad allenarci a Mosca insieme ai loro campioni. Migliori sempre. Gli sparring sono decisivi». Ed anche i buoni maestri. La scuola russa, in accezione larga, ha sempre prodotto bravi dilettanti. Qui si vede la mano.

Damiani ha messo il contorno, comprese le litigate con i pugili e le sue esperienze di gran dilettante e ottimo professionista. Ecco perché non può sopportare l’indolenza di Cammarelle. «Per l’oro mi fido più di Russo. Tecnicamente Cammarelle è migliore di come ero io, ma nella testa lo strabattevo». Anche se oggi è una boxe molto snaturata. Sembra di vedere il tiro a segno o la scherma, che deve toccare solo certi bersagli. Per fortuna la federazione dilettantistica ieri ha deciso una revisione: dopo le Olimpiadi cambierà il sistema dei punti. Varrà lo score individuale dei giudici, facendo una media dei colpi visti (ora devono essere rilevati da almeno tre giudici su cinque). Ma questo è il futuro. Il presente è un sogno.

Forse un’illusione.

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