Campo Dall’Orto: «Che bello abitare 4 mesi a New York con tutta la banda»

Manager di una multinazionale, 45 anni, una compagna e due figli piccoli, un bimbo di tre anni e una bimba di quattro mesi. Per Antonio Campo Dall’Orto, vicepresidente esecutivo di Mtv International, i viaggi d’affari sono una consuetudine. Non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti e in Asia, e a volte la permanenza all’estero dura lunghi periodi. Quella di portare con sé la famiglia quindi diventa un’esigenza, «ed è una tendenza che prenderà sempre più piede anche tra i manager italiani», prevede Dall’Orto.
Nessun tabù dunque per i viaggi di lavoro che diventano anche familiari?
«Tutt’altro. Viaggio molto per affari e ho la necessità di trovare un equilibrio tra famiglia e impegni professionali. Anche se la sera e nei fine settimana cerco di non lavorare, la voglia di passare più tempo con i miei rimane forte. Per questo farmi accompagnare nei viaggi professionali, soprattutto se lunghi, a volte è la soluzione».
Che vantaggi ci sono?
«È utile e divertente, arricchisce emotivamente sia me sia loro. Credo che il viaggio familiare in un contesto lavorativo prenderà sempre più piede, soprattutto nelle aziende lungimiranti. È un’evoluzione naturale, perché oggi il vero lusso è il tempo. Il lavoro ne prende molto, forse troppo, perciò la qualità e la quantità di tempo dato alle persone che amiamo acquisterà ancora più importanza».
Qual è stata la sua esperienza?
«Lo scorso anno sono stato quattro mesi a New York e la mia compagna e il nostro primo bambino mi hanno accompagnato. Abbiamo preso una casa in città ed è stata una permanenza bellissima, da ricordare».
Si corrono dei rischi spostando la famiglia da un capo all’altro del mondo?
«Sì, se questi periodi di trasferta non vengono pianificati bene e con largo anticipo. Anche se temporaneo, il trasferimento deve rispettare i tempi e gli impegni di tutti i componenti della famiglia. Ma la mia esperienza è stata positiva e credo che la ripeterò».
Colleghi e superiori non storcono il naso?
«Nel mio caso è successo il contrario. La mia azienda sa bene che trascorro lontano da casa lunghi periodi, colleghi e capi mi capiscono. Sanno anche che i legami affettivi sono importanti e aiutano a lavorare meglio.

Le multinazionali richiedono assoluta trasparenza a dipendenti e manager, ma sono molto disponibili riguardo alla loro vita sociale. L’esigenza di avere la famiglia vicino non è solo accettata, ma anche promossa. D’altra parte io mi sono fatto accompagnare la prima volta dai miei, proprio perché l’ho visto fare dai colleghi americani».

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