«Dopo il caos liste il partito è diventato più forte»

RomaTra i vincitori delle elezioni in Lazio c’è qualcuno che ha vinto di più. Già, perché a spulciare la nuova mappa del potere della destra capitolina, il ministro Giorgia Meloni pare trionfante. Sette neo consiglieri fanno riferimento alla corrente di Fabio Rampelli, la sua. Cinque sono ascrivibili a Gianni Alemanno, soltanto tre all’altra potentissima ala ex aennina del senatore Andrea Augello; mentre due sono gli eletti in quota Antonio Tajani (ex Fi). Meloni ottava regina di Roma, quindi. Anche se lei, falciata da un’influenza forse per troppa baldoria post trionfo, minimizza: «Abbiamo vinto tutti, queste sono vecchie logiche che non mi appassionano per nulla». Eppure il partito in Lazio è sempre stato diviso in correnti: quella che fa capo al sindaco di Roma, Alemanno, detto il «federale», valanga di consensi tra l’elettorato cattolico e popolare; quella di Augello, sottosegretario alla Pubblica amministrazione, uomo macchina per eccellenza, entrature nella Roma altoborghese e pariolina; e quella tutta pancia e militanza di Rampelli e Meloni. Loro si chiamano i «gabbiani», perché «voliamo alto», dice la Meloni. E lei pare aver proprio spiccato il volo anche se, al Giornale, ripete che «sono logiche che non mi appartengono». Più che il salotto dei Parioli potè la borgata della Garbatella? Ride, la Meloni, e nega. Anche se ammette che «è sempre determinante la passione che ci mettono i militanti, quelli con l’attacchino, i manifesti e la colla in mano e che lavorano giorno e notte per il partito, magari in territori difficilissimi». Perché il suo fare politica è così: sudore, discussioni, comizi e perfino corse col megafono in mano come durante la manifestazione di piazza San Giovanni. Però il refrain è uno solo: «Abbiamo vinto tutti. Non solo: dopo il caos liste ho visto con piacere che il Pdl è rinato. Tutti a remare nella stessa direzione, bando ai personalismi perché il partito non è fatto di monadi».
Stuzzicarla sul diverso grado di impegno nel partito è sforzo vano: «Sa quando ho capito che avremmo vinto? Quando anche gli esclusi si sono fatti un mazzo così per la causa comune». Causa comune cui non tutti credevano, specie dopo l’esclusione del simbolo Pdl dalla provincia di Roma. Ma poi è stato il «miracolo», voluto, cercato, quasi preteso da Berlusconi: «Il presidente ha fatto da traino in maniera incredibile», ammette. «Gli elettori, che sono sempre più avanti, hanno capito e ci hanno premiati. E lo dico anche alla sinistra che continua a guardare il nostro popolo con una spocchia insopportabile».
La Meloni, poi, rifiuta l’analisi sociologica del voto secondo cui Roma città, più chic e colta, sta a sinistra e la provincia a destra: «Abbiamo vinto proprio a Roma, dove seppur senza simbolo abbiamo guadagnato un sacco di voti».

E questo grazie al jolly della Polverini che «ha fatto capire alla gente che con noi si volta pagina. Prendiamo la sanità: Marrazzo ha buttato via un sacco di soldi continuando a pagare i farmaci a prezzo pieno, facendo regali alle industrie farmaceutiche. Ora si cambia».

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