Il capolavoro degli egizi? I loro giardini

I segreti di una bellezza non mummificabile

Il capolavoro degli egizi? I loro giardini
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Una civiltà di pietra, di templi e statue mastodontiche. Così ci appaiono gli egizi ad un primo sguardo, a partire dalle piramidi. Ma la civiltà del fiume, nata da una sottile striscia d'acqua che porta magicamente la vita dentro il deserto, prima di buttarsi nel Mediterraneo, era una civiltà che amava inevitabilmente il verde, le piante. La bellezza vegetale, i fiori, nascevano sempre da una lotta contro la sabbia e il calore, erano un simbolo anche di potere. Per capirlo niente di meglio del saggio di Divina Centore: Faraoni e fiori. La meraviglia dei giardini dell'Antico Egitto (il Mulino). Egittologa, la Centore lavora al Museo Egizio di Torino dal 2018 dove si occupa di interpretazione museale e del coordinamento editoriale per le pubblicazioni divulgative e scientifiche. Nel 2022 ha curato l'allestimento di "Cortile Aperto: Flora dell'antico Egitto" e nel 2024 "Giardini egizi: l'orto e il giardino funerario".

Il volume porta il lettore in un viaggio che la comune archeologia fatica a farci percepire. Dentro le tombe della necropoli di Dra Abu el-Naga ha incontrato resti antichissimi di fiori e piante, come quelli che si possono vedere nelle sepolture dell'architetto Kha e della moglie Merit visibili al Museo egizio.

Tracce labili da cui il saggio parte, unendo fonti archeologiche e papirologiche, per portare il lettore a scavalcare i muri a secco che custodiscono piccole o grandi piscine circondate dal verde. Ad esempio nella Tebe del 1350 a.C. entrerà nel giardino di Nebaum un alto funzionario del tempio del Dio Amon. Un luogo recintato ed appartato dove si incontrano palme da dattero, palme dum, fichi e alberi di persea. Più all'interno circondato dai fiori, c'è un laghetto pieno di Ninfee... Ma c'è anche la mandragora con la sua pericolosità e persino la vite che gli egizi hanno importato prima nel Delta del Nilo e poi nelle oasi. Tutta questa bellezza verrà anche dipinta sulle pareti della sua tomba. Uno sforzo per creare armonia e bellezza da perpetrare per l'eternità.

Ove possono gli egizi creano verde. Anche nei templi, soprattutto quelli dedicati ai faraoni morti (e quindi divinizzati). Il giardino templare più antico mai rinvenuto era proprio quello che si trovava nel tempio d'ingresso alla zona della piramide romboidale di Snefru, 2560 a.C. Trecento alberi tra cui palme, sicomori e persino cipressi importati dalla Siria. Uno sforzo enorme che venne portato avanti per quattordici anni e poi abbandonato. Venne usato mentre il faraone Snefru era ancora in vita per rituali di rinnovo della regalità. Tutta l'acqua per mantenere le piante doveva essere trasportata da enorme distanza. Il giardino per gli egizi aveva anche un'enorme simbologia religiosa legata al rinnovo, del corpo e dell'anima. Anche attraverso le profumate piante di mirra che gli egizi importavano dalla terra di Punt. Terra che resta un mistero della storia antica perché non è mai stata identificata con certezza, si sa solo che gli egizi la raggiungevano via mare.

Questi sono solo alcune delle storie grandi e piccole raccontate nel libro, ci sono i coltivatori di loto, i papiri di giardinaggio, tutto un mondo perduto che torna a rifiorire. Dando il senso di una civiltà che fu in prima istanza agricola.

Insomma "Il faut cultiver notre jardin" che è la frase cardine del Candido di Voltaire era chiara agli antichi egizi con migliaia d'anni d'anticipo. Solo che questa parte della loro cultura è la parte che non poteva essere mummificata, i giardini o sono vivi o non sono.

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