In carcere è guerra di religione

Nel carcere di Opera le preghiere del Ramadan disturbavano i detenuti italiani: ma quando uno di loro ha osato protestare, è stato aggredito e picchiato dai prigionieri musulmani. Ne è scaturito un regolamento di conti di violenza inaudita, e solo per caso non è scappato il morto. Da una parte gli italiani, tra cui un ergastolano, e altri legati al mondo del crimine organizzato; dall’altra il fronte compatto degli arabi, che nel supercarcere di via Ripamonti sta assumendo dimensioni e potere sempre maggiori. Arabi ed italiani si sono scontrati con armi improvvisate. E quando sono intervenuti gli agente di polizia penitenziaria per impedire che il «capo» degli arabi venisse ammazzato, gli italiani si sono rivoltati pesantemente contro di loro, accusandoli di proteggere i musulmani e colpendoli violentemente.
La notizia del violento scontro era rimasta chiusa all’interno del carcere. Ma la Procura ha avviato una inchiesta sulla base dei rapporti della polizia penitenziaria e dei referti medici.

L’indagine è stata condotta dal pubblico ministero Antonio Sangermano che ha inviato nei giorni scorsi otto avvisi di chiusura indagini ad altrettanti protagonisti del regolamento di conti (sei italiani e due arabi): nelle carte dell’inchiesta, un ritratto di come anche nel mondo carcerario i rapporti di forza tra italiani e stranieri stiano cambiando radicalmente, mettendo in discussione la supremazia della vecchia «mala».

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