Viviana Persiani
Qualche milanese ricorderà un fugace passaggio al Teatro di Verdura; da martedì, però, Nero Cardinale, testo e regia di Ugo Chiti, dopo quattro anni di tournée arriva al Teatro San Babila dove il pubblico, fino al 7 di maggio, avrà modo di apprezzare la commedia interpretata dall'eclettico Alessandro Benvenuti. La storia è ambientata in una sera di carnevale del 1707: preoccupato dal fatto che i suoi figli non riescono a dargli un erede, il granduca Cosimo III chiama nella sua fredda residenza granducale il fratello cardinale Francesco Maria de Medici (Benvenuti), meglio conosciuto come «Cardinal Cuccagna». La richiesta è perentoria: Francesco Maria, cardinale per motivi dinastici, deve per così dire "scardinalarsi", sposarsi e dare, così, un erede alla famiglia Medici.
«Fin dal suo debutto - esordisce Benvenuti- lo spettacolo non è cambiato per niente perchè drammaturgicamente il testo di Chiti è solidissimo, perfetto. Dopo quattro anni intensi, questa è l'ultima stagione di rappresentazione, terminando così quella che io definisco un'avventura umana e professionale».
In che senso?
«È stata un'esperienza bellissima. Il testo di Chiti prevedeva un primo attore e un' "orchestra" di contorno. Però mi sono trovato con questa compagnia, l'Arca azzurra, dove tutti gli attori sono bravissimi, abituati ad avere ruoli di primo piano. In questa occasione, mi hanno ceduto tranquillamente il posto, senza batter ciglio, contribuendo alla realizzazione della monumentalità dell'operazione. C'erano tanti galli nello stesso pollaio, ma la mentalità della compagnia è quella di fare teatro come gruppo, di non pensare alle individualità da mettere in mostra».
Quindi il successo è dovuto a questa particolare affinità tra di voi?
«Se non avessi avuto questo equilibrio e l'affetto sincero di questi artisti difficilmente sarebbe stato uno spettacolo di successo».
E sul testo?
«Non ha punti deboli dal punto di vista attoriale; è perfetto».
Lei ha appena firmato la regia dello spettacolo di Batta; un'attività intensa la sua?
«Quest'anno ho firmato, oltre allo spettacolo che lei ha citato, anche la regia di Due scapoli e una bionda e della versione teatrale de Il califfo di Bevilacqua. Tre esperienze differenti ma ugualmente complete, che ti arricchiscono».
Se dovesse scegliere, opterebbe per la carriera da regista, da attore o da autore?
«Non ho una specialità; mi definirei un eclettico, senza codici, senza formule. Tutta l'arte è esperienza. Ho appena terminato le repliche de Il costruttore di Imperi di Boris Vian e ora mi ritrovo nei panni di Francesco Maria, senza dimenticare la mia attività nelle fiction in tv. Passo, senza pormi dei limiti, dalla recitazione televisiva al surrealismo francese di Vian, sperimentando così, come attore, differenti tipologie. Non mi fossilizzo su un genere. In questa occasione, ad esempio, non mi limito ad essere interprete di Nero Cardinale ma anche co-produttore. Raccolgo sempre esperienze artistiche interessanti, capaci di farmi continuamente crescere, maturare».
Come definirebbe lei l'attore ideale?
«L'attore è un elastico, se non sorprende non ha successo.
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