La Caritas: «La scuola araba nega l’integrazione»

Avrebbero voluto un «finale» diverso per i bambini della scuola araba di via Ventura. «Così non si fa integrazione» dice chi, per professione, si occupa degli immigrati e dei loro problemi. A partire dalla Caritas ambrosiana. «Sono rammaricato, non siamo riusciti a far capire a quelle famiglie che la loro identità sarebbe stata rispettata anche nella scuola pubblica» spiega don Roberto Davanzo, il direttore. Vedere i bambini egiziani in classi statali «sarebbe stata la cosa migliore, perché è così che si costruisce un’identità e ci si integra» precisa il sacerdote. Si è seguito invece un’altra strada: «La legge consente di aprire scuole non parificate, se quella di via Ventura è in regola non ha senso ostacolarla con pretesti - aggiunge don Davanzo -. Non credo diventerà un “modello”, ma bisogna controllarne i contenuti, non deve diventare un luogo dove si diffondono idee pericolose».
A riaccendere la discussione sulla scuola araba di Lambrate, momentaneamente chiusa, è il dossier della Caritas sull’immigrazione. L’attenzione, quest’anno, è posta soprattutto sui minori. «Nelle scuole lombarde ci sono 100mila alunni stranieri - ricorda Mario Dutto, direttore dell’ufficio scolastico regionale -. Nel 2000 erano il 2,9 per cento, oggi superano il 7. Viviamo in una realtà multietnica, non ha senso avere paura di una piccola scuola araba con un centinaio di alunni». Scuola che potrà riaprire quando dallo stesso Dutto arriverà l’ultimo via libera. Lui si dice «rammaricato» per «non aver fatto capire alle famiglie egiziane l’importanza della scuola pubblica»: «Abbiamo già 22mila studenti di lingua araba che nelle nostre classi si sono trovati bene». E conclude: «Alle volte c’è chi cerca nella separazione la risposta ai propri bisogni. Una cosa che bisogna rispettare, anche se non sempre questa è la risposta giusta».
Si è scelto invece di fondare un nuovo istituto con libri in arabo e programmi egiziani integrati da alcune traduzioni. «Un esempio di separazione, come lo sono le classi pubbliche che ho visitato in Toscana, a Prato, fatte solo di bambini stranieri perché gli italiani si rifiutano di mandarci i figli» insiste Marcella Lucidi (Ulivo), sottosegretario all’Interno.
Il rammarico è accresciuto da un dato. «I sondaggi che facciamo da cinque anni dicono che gli alunni stranieri credono più dei compagni italiani nella scuola pubblica che frequentano e nei loro insegnanti» racconta Elena Besozzi, docente di Sociologia alla Cattolica. Fiducia non ricambiata dallo Stato.

«In Italia c’è in media un insegnante addetto all’integrazione ogni 400 alunni stranieri - ricorda Maurizio Ambrosini della Statale -. Tutto si regge sulla buona volontà dei professori italiani e delle famiglie dei compagni di classe».

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