Da Carlos una pista araba porta alla strage di Bologna

L’sos in due informative Ucigos prima della bomba: «Colpiranno come ritorsione per la condanna del terrorista residente in Emilia»

Claudia Passa

da Roma

Per la strage di Bologna si riapre la pista araba. A un quarto di secolo dall’attentato passato alla storia (giudizaria) come l’exploit della strategia della tensione di marca «fascista», affiorano nuovi documenti che conducono in tutt’altra direzione: verso le frange estremiste arabo-palestinesi vicine a Gheddafi, verso la rete internazionale del terrorista Carlos «lo sciacallo», verso ciò che alcuni governanti dell’epoca avevano provato a denunciare incassando una sequela di insulti.
L’11 luglio del 1980 - tre settimane prima della strage - il prefetto Gaspare De Francisci, capo dell’Ucigos (l’antiterrorismo della polizia) allertava le autorità di sicurezza sulla possibilità di «ritorsioni» verso l’Italia da parte del Fronte popolare di liberazione della Palestina, frangia marxista dell’Olp. La missiva, sigillata in doppia busta, era indirizzata al Sisde ma anche al questore di Bari, perché proprio in quel periodo il carcere di Trani ospitava il giordano Abu Anzeh Saleh, esponente del Fplp in Italia, la cui condanna in primo grado per il ritrovamento di due missili terra-aria ad Ortona era al centro dell’allarme del Viminale. «Fonte qualificata - scriveva De Francisci - ha riferito che la condanna dell’arabo Abu Anzeh Saleh ha determinato negative reazioni negli ambienti del Fplp e non viene escluso che, da parte della stessa organizzazione, possa essere tentata una ritorsione nei confronti del nostro Paese». La «soffiata» arrivava proprio dalla questura del capoluogo emiliano (dove Saleh aveva vissuto a lungo) la quale l’aveva girata al Viminale l’8 marzo del 1980, a tre mesi dalla strage di Ustica, a cinque da quella alla stazione di Bologna.
Già il 15 gennaio dell’80 l’Ucigos aveva segnalato che «George Habbash, leader del Fplp, contrariato per l’arresto del Saleh e la conseguente dannosa pubblicità per il suo Fronte, starebbe manovrando “contatti” informali con ambienti diplomatici arabi per far pressioni sul governo italiano al fine di ottenerne il rilascio. Il leader del Fplp - prosegue la nota - non escluderebbe il ricatto terroristico nei confronti dell’Italia pur di far liberare il Saleh, anche perché quest’ultimo conoscerebbe le strutture clandestine del Fronte ed i suoi collegamenti politici occulti. La stessa fonte riferisce che in passato altre armi sarebbero state “sbarcate” in Italia per costituire un deposito di armi, probabilmente a Roma, utilizzabile sia da terroristi italiani dell’area dell’Autonomia che da “gruppi operativi” del Fplp per azioni in Europa occidentale».
Ma per dipanare la matassa occorre soffermarsi sulla figura di Abu Anzeh Saleh, nato ad Amman il 18 maggio 1949, arrestato nel novembre ’79 a Bologna perché coinvolto, assieme a tre militanti dell’Autonomia operaia, nelle indagini sul ritrovamento di due missili Sam-7 Strela, pronti ad essere imbarcati al porto di Ortona con destinazione Libano. Informative d’intelligence descrivono Saleh come il responsabile del Fplp in Italia per le attività militari e il rifornimento di armi. Quando nel febbraio 1974 il Viminale ne dispone l’allontanamento dall’Italia, secondo gli 007 sono «esponenti del Pci» a tentare - invano - di ottenere la revoca del provvedimento.
Qualche mese più tardi le frontiere si aprono di nuovo per lui, e il permesso di soggiorno gli viene rinnovato grazie ai buoni uffici del colonnello Stefano Giovannone, capocentro Sismi a Beirut, che secondo una imminente interpellanza parlamentare sarebbe l’«ufficiale pagatore» di una giornalista che intervistando l’esponente Olp Abu Ayad rilanciò la «pista nera» per la strage di Bologna. E proprio su questi intrecci libico-palestinesi l’ex capogruppo di An alla commissione Stragi, Enzo Fragalà, aveva invitato in tempi non sospetti a focalizzare l’attenzione per «rivedere» l’iter processuale che aveva portato alla condanna per strage degli ex esponenti dei Nar, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti.
Il nome di Saleh ricorre soprattutto nell’inchiesta del magistrato francese Louis Bruguière sulla rete dell’Osama Bin Laden degli anni Ottanta, ovvero Ilich Ramirez Sanchez, noto come Carlos «lo sciacallo». Fra le carte di Mourkabal Michel Walib, braccio destro di Carlos, spunta un appunto con un indirizzo di Bologna («via S. Pio V 13, secondo piano a sinistra») e una parola d’ordine per accedere in un appartamento con granate, dinamite, detonatori, congegni a tempo. A quell’indirizzo corrispondeva il covo bolognese di Abu Anzeh Saleh. Il processo d’appello per i missili di Ortona (iniziato nell’estate del 1980) si conclude nel gennaio ’82 fra accese polemiche: le condanne, infatti, vengono ridotte per tutti gli imputati da sette a cinque anni.
Ma c’è di più. Si scopre oggi che nel dicembre ’79 il direttore del Sismi, Giuseppe Santovito, avrebbe consegnato all’allora premier Francesco Cossiga un appunto nel quale si sosteneva l’estraneità dei palestinesi nell’affaire dei razzi micidiali.

Cosa non vera, poiché pochissimi giorni dopo proprio Habbash se ne assumeva la paternità in una lettera ai magistrati e al governo italiani. Cossiga andò su tutte le furie, e fu per un soffio che Santovito non ci rimise il posto. Sarà anche per questo che l’ex presidente emerito si dice certo dell’estraneità di Mambro e Fioravanti alla strage del 2 agosto?

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