Politica

Caro Montezemolo, non fare il nuovo Fini

Il presidente della Ferrari vuole scendere in politica per le sue ambizioni e i suoi affari. E come Gianfranco usa l’alibi del "Paese". Ma per governare servono voti, non parole

Caro Montezemolo,  
non fare il nuovo Fini

Luca Cordero di Montezemolo ha annunciato per l’ennesima volta che sta pensando di scendere in politica. Siamo tutti col fiato sospeso: lo farà, non lo farà? Ma soprattutto le domande sono: perché dovrebbe farlo, con quale esercito, con che alleati? Risposte logiche al momento non ce ne sono, se non quella che lui stesso lascia intendere: per salvare la patria. Ci sembra di rivedere un film appena andato in onda nel cinema della politica italiana, attore principale Gianfranco Fini, comparse Bocchino, Briguglio, Casini e Rutelli.
Ora, a parte che non si capisce da chi sia minacciata questa benedetta patria, in quanto a salvataggi Montezemolo non ha poi grandi esperienze. Anzi. Quando gli fu affidata la Cinzano, l’allora giovane manager non cavò un ragno dal buco. L’anno che trascorse alla guida della Juventus fu l’unico nel quale i bianconeri non si qualificarono per una coppa europea. Come capo dell’avventura dei mondiali di calcio Italia ’90 diciamo che non portò fortuna alla nazionale e fu un disastro in quanto alla gestione del grande business (nuovi stadi nati vecchi, alberghi finanziati e mai finiti, infrastrutture per lo più inutili quanto costose). Alla Ferrari ha vinto molto con il tandem Todt-Schumacher. Via loro, le rosse - forse non a caso - sono state risucchiate nel gruppone, umiliate da un giovane team che porta il nome di una bibita. In ultimo, la Fiat di Marchionne ha preferito fare a meno di lui senza per questo subire il minimo trauma.

Ma lasciamo perdere il passato. Di recente Montezemolo si è candidato a salvare la patria ogni qualvolta si sono verificate due circostanze: voci di crisi del governo Berlusconi, rallentamento del via libera che governo e Ferrovie dello Stato devono dare all’ingresso sul mercato ferroviario di nuovi soggetti. Già, perché Montezemolo è molto interessato a questa pratica. Di più, quello dei treni veloci è il suo nuovo affare. E che affare. Finanziato da Generali e da Banca Intesa, Montezemolo è andato in Francia a farsi costruire i suoi treni che ora vuole legittimamente buttare sulla rete italiana. Per fare questo servono permessi e nuove regole che tardano ad arrivare. Ferrovie italiane e governo fanno un po’ melina, per interesse e per cautela politica. Si vorrebbe cioè evitare che, attraverso Montezemolo, i francesi si pappino, praticamente gratis, pure il nostro sistema ferroviario.

L’irrequietudine di Montezemolo, insomma, potrebbe avere anche qualche radice meno nobile di quelle dichiarate. Di recente, un altro bello del sistema di potere, Gianfranco Fini, scambiando ambizioni e interessi personali per un progetto politico, si è schiantato contro un muro dopo aver fatto sognare l’opposizione. Non credo che Montezemolo sia così stolto da voler bissare l’esperienza dell’utile idiota al servizio di Bersani, Casini e Di Pietro. Se vuole entrare in politica, si accomodi. Continuare a minacciarlo, non solo non serve e non fa paura, ma è sintomo di incertezza e debolezza, cose che non si addicono a un leader che vuole guidare il Paese. Tra il dire, il fare e il vincere, Berlusconi, nel 1993, impiegò non più di tre mesi. Montezemolo vuole tentare la stessa strada? Ci vogliono un progetto, i coglioni e almeno dodici milioni di voti. Frequentare consigli di amministrazione importanti, salotti chic e convegni prestigiosi è sufficiente ad avere buona stampa e alta considerazione di sé, non basta per vincere le elezioni. Perché dall’urna si deve prima o poi passare.

Ma sospetto che contarsi senza rete di protezione non sia nel dna di Montezemolo salvatore, a parole, della patria.

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