Il dado è tratto, il presidente Obama ha sostanzialmente accolto la richiesta «mediana» presentata dal suo generale, Stanley McChrystal. Aggiungendo una serie di condizioni per renderla politicamente più accettabile. A partire da una «afghanizzazione» progressiva del conflitto e dalla definizione di una exit strategy: pur senza fissare una data precisa, vuole chiudere l'avventura afghana entro la fine del suo mandato. Definire una data in ogni caso avrebbe solo un valore politico contingente: basta ricordare che Obama ha già «barato» su tempi e modalità del ritiro dall'Irak.
Al Pentagono come alla Nato (che invierà a sua volta 5-7mila soldati in più) si discute piuttosto se la nuova strategia funzionerà. Soprattutto visto che Obama vorrebbe ripetere in Afghanistan la «surge» compiuta da Bush in Irak: un potenziamento delle forze a tempo determinato, seguito da un ritiro graduale. Per questo ha deciso di accelerare, concentrandolo entro la metà del 2010, lo schieramento dei 30mila soldati addizionali, rendendo impossibile sincronizzarlo con il ritiro delle forze dall'Irak, dove al momento ci sono ancora 120mila soldati. Linizio del ritiro dallAfghanistan è stato fissato per luglio 2011.
I militari non hanno gradito. Inoltre McChrystal non ha chiesto rinforzi a tempo, ha bisogno che le truppe promesse restino sul campo fino a quando sarà necessario. Le «modifiche» di Obama rischiano di ostacolare la strategia del generale, basata sul principio della economia e concentrazione delle forze. Anche dopo il potenziamento non ci saranno abbastanza soldati per controllare il Paese. I soldati addizionali andranno dunque a sud e ad est e verranno concentrati dove c'è la maggior presenza di popolazione. Nelle altre regioni, quello nord a guida tedesca e quello ovest a guida italiana (per ora) si farà di più, ma su scala molto più ridotta.
Confermata anche l'enfasi sulla protezione della popolazione, piuttosto che sulla ricerca ed eliminazione del nemico. E quindi rimarranno i limiti nell'impiego delle armi pesanti, da terra e dal cielo. Non è un caso se McCrystal giri in Afghanistan senza corazze protettive e senza pistola al fianco. Questo vuol dire più rischi per i soldati alleati, almeno inizialmente. Perché ci saranno più «bersagli», si andrà sempre più a piedi e si resterà nei villaggi. E si cercherà di dividere i talebani, «comprando» alla causa gruppi, tribù, anziani e capi locali.
Ma questo è il solo aspetto «occidentale» del nuovo piano militare. Il secondo pilastro è rappresentato dalla crescita delle forze di sicurezza locali: esercito, polizia e polizia di frontiera. Sono le ottimistiche previsioni su questo versante a suscitare più perplessità. Oggi l'Ana, l'Esercito, ha circa 90mila uomini, doveva crescere a 134mila unità entro fine 2011, ma ora si vuole accelerare questo traguardo a fine 2010. Difficile se non impossibile, considerando il tasso di diserzione che affligge truppa e persino gli ufficiali. La mancanza di armi ed equipaggiamento è cronica, solo metà dei reparti è in grado di operare (quasi) autonomamente. Mancano gli istruttori, i «consiglieri» che devono essere aggregati ai reparti afghani, manca il personale per arrivare al «partnering» di piccoli reparti alleati inseriti in quelli afghani.
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