Politica

Casini: «Il centrodestra può vincere»

Ma davvero è il partito unico la soluzione di tutti i mali del centrodestra? Basterà questa magica formula ad annullare anni di litigi che hanno rallentato il piano e l'azione del governo? Qualcuno sembra crederlo e all'interno della Casa delle libertà è scattata una corsa contro il tempo per dar vita al nuovo organismo.
Chiedo a Pier Ferdinando Casini, presidente della Camera e leader del centrodestra: ma lei ci crede al partito unico?
«Non evochiamo il partito unico. Una formula disastrosa in sé e per l'Italia. Parliamo di quello di cui ha bisogno il nostro Paese: cioè di un grande partito dei moderati, interclassista ma anche di forte impronta riformatrice. Oggi il riformismo non può essere appannaggio solo della sinistra; il riformismo vero, autentico è quello di chi favorisce, tramite i processi di privatizzazione e di liberalizzazione, i consumatori; di chi guarda alle famiglie, a una nuova dimensione della socialità, al solidarismo. Un partito vero, che dia una risposta a quanti hanno seguito il cammino del centrodestra in questi anni, a quanti ci hanno sostenuto nella buona e nella cattiva sorte, anche a quanti oggi sono delusi...».
Farà aumentare i voti del centrodestra? La storia insegna che le unioni fra diversi partiti hanno portato meno voti di quanti ne avessero prima...
«È importante che si aumentino i voti, ma è ancor più importante che si radichi una formazione politica, per l'oggi e per il domani, che non venga spazzata via dalle ventate della storia».
Cosa vuol dire?
«Vuol dire che oggi in Italia c'è delusione verso il centrodestra, ma c'è anche una componente di quel trasformismo tipicamente italico che certamente è una malattia contagiosa e di cui non c'è da essere fieri. Ora c'è bisogno di una forza che nel Paese ci sia oggi e anche domani, come la Cdu tedesca che, dopo aver perso, si è riorganizzata e oggi si appresta a vincere. Dobbiamo evitare la dissoluzione delle forze politiche che sono nate dall'esperienza degli ultimi dieci-quindici anni».
Ma il centrodestra ha possibilità di vincere?
«Io sono convinto che in politica non ci sono né vittime designate, né vincitori annunciati. In politica si vince e si perde. Tra l'altro, otto-nove mesi in politica sono un tempo molto lungo. Non voglio fare previsioni sul risultato elettorale, non mi interessa. Ad esempio il mio Bologna, che pure è andato in serie B, ha battuto il Milan a San Siro. È la dimostrazione che ogni partita è sempre aperta, basta giocarla con determinazione».
Che tempi ha il partito unitario?
«Una cosa deve essere chiara: il partito dei moderati o si fa entro l'autunno oppure ciascuno si attrezzerà come meglio ritiene in vista delle elezioni. In questo caso sarebbe però un'occasione persa. E questo sì potrebbe determinare effetti molto negativi anche nel sistema politico nazionale. Questa deve essere un'estate di lavoro, non di piagnistei né di litigi; un'estate di operosità. È il momento delle api operaie, non delle cicale».
È finita la stagione delle divisioni tra Udc e Forza Italia?
«Questo lo deve chiedere a Forza Italia e all'Udc; chi è senza peccato scagli la prima pietra».
Ma lei si sente candidato alla guida del nuovo partito?
«Beh, io sono convinto che, finita la mia esperienza di Presidente della Camera, sarò fra quelli che in questo partito avranno voce in capitolo».
E saranno indispensabili le primarie?
«Non vedo la necessità di primarie. Ci sono diversi meccanismi in un partito per formare e selezionare una classe dirigente. Ci potrà anche essere una fase provvisoria».
Ma chi lo guiderà?
«Se ci sono un progetto, la volontà e gli uomini, non è un problema chi guida il partito. Ovviamente non potrà essere un partito che nasce sulla base del carisma di una persona. Né potrà essere la Democrazia cristiana: un partito che ha fatto la storia d'Italia, ma che ormai appartiene al passato. La Dc ha avuto comunque segretari che, in ogni stagione, hanno saputo meglio interpretare i bisogni della società italiana, da Forlani a Zaccagnini, da Moro a Fanfani. Alla sua guida si sono alternate grandi personalità. Il problema è costruire un progetto, poi il tema della leadership arriverà. Io sono convinto che questo ci chiedano gli elettori, sapendo che ci sono delle personalità nel centrodestra che un ruolo lo avranno comunque. Mi vuole mettere tra questi? La ringrazio. Ma certamente c'è il leader di un partito, che è quello che a questo partito unico conferirà il maggior numero di azioni, che si chiama Silvio Berlusconi; c'è un altro leader, che è Gianfranco Fini; ci sono personalità che non hanno certo bisogno di primarie per mettersi in luce: ci sono e sono gli azionisti dei partiti maggiori».
Dopo il partito unitario serve una riforma elettorale?
«Non necessariamente. Il partito dei moderati è un'intuizione buona di per sé, a mio parere».
Non ritiene utile la riforma elettorale?
«Non stabilirei un collegamento così determinante tra riforma elettorale e partito dei moderati. Sono un bipolarista convinto, ma oggi guardo la situazione politica italiana e non vedo esempi particolarmente virtuosi. Vedo un tasso di litigiosità nelle coalizioni molto alto. Diciamoci la verità: questo meccanismo elettorale mantiene tutti i difetti del proporzionale senza i pregi e conserva i difetti del maggioritario senza i pregi. È un "vorrei ma non posso"».
Dunque sul maggioritario si è ricreduto?
«Guardi, ne ho discusso molto con Follini che è proporzionalista convinto. Su alcune cose nella nostra esperienza politica credo che lui debba dare ragione a me; su questo temo di dover dare ragione io a lui».
A proposito di Follini: in questi mesi è sembrato essere la vera opposizione al governo. E per qualcuno il suo progetto politico mira a liquidare Berlusconi.
«A parte che in democrazia nessuno è insostituibile, come Berlusconi ci ha ricordato con grande senso della misura. Ma ognuno ha la sua personalità. Forse Follini a volte è un po' troppo rude, ma qualche scossone non sempre è inutile. Io ho trovato la sua impalcatura del discorso congressuale molto coerente. Forse qualche battuta un po' troppo colorita».
Nei mesi scorsi si è parlato spesso di una possibile alleanza tra Udc e Margherita.
«Beh, fa parte del gossip. Come si parla del rapporto tra Berlusconi e Prodi, si parla del rapporto tra Rutelli e Follini».
Il partito unitario sbarrerebbe la strada a questo progetto di unificazione di parte del centrodestra con la Margherita?
«Il progetto, per quanto ne so io, non c'è. Dunque non c'è nessuna strada da sbarrare. Il partito dei moderati italiani, a mio parere, risponderebbe alle grandi questioni della società italiana, che non sempre siamo riusciti a interpretare in modo coerente».
Il referendum sulla fecondazione segnerà una svolta nella politica italiana?
«Il referendum secondo me ha costituito un fatto molto importante perché sui temi che riguardano la grande questione antropologica - che è la questione degli anni Duemila - la Chiesa italiana è riuscita ad essere un punto di riferimento unificante di laici e cattolici, di chi ha il dono della fede e di chi non ce l'ha, di chi va in chiesa la domenica e di chi non ci va. Mentre il Novecento che ci siamo appena lasciati alle spalle ha visto la Chiesa impegnarsi su grandi temi sociali, oggi il tema che sta diventando centrale è quello del futuro dell'uomo: chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo andare; se la ricerca debba avere limiti o possa spingersi alla soglia delle manipolazioni dell'embrione, della creazione dell'uomo perfetto. Di fronte a questi quesiti esistenziali la Chiesa ha dimostrato di rappresentare un grande valore, una grande forza unificante per tutta la società italiana. Certo, la Chiesa dà risposte nette, anche dure. Forse per molti di noi, che viviamo la fede con tutti i nostri limiti, queste risposte sono difficili da accettare. Ma guarda caso, proprio oggi che il suo messaggio diventa così chiaro, trasparente e limpido, la Chiesa riesce a proporsi come punto di riferimento anche a diverse personalità del mondo laico: penso al dialogo tra Papa Benedetto XVI ed il Presidente del Senato Marcello Pera».
Come si trasferiscono in politica questi valori?
«Pensare che in politica si trasferisca l'esito referendario è una pura illusione, ma il messaggio diretto che a un partito dei moderati viene da questo referendum è che una politica senza valori e senza ideali non ha futuro. Per cui riappropriamoci del messaggio etico, anche laicamente».
Dunque non si parla più di «partito dei cattolici»?
«No. Si parla di un partito moderato, laico, che è cristianamente ispirato: in fondo questa è la lezione della liberaldemocrazia e del cattolicesimo liberale. Uno Stato laico è uno Stato che rispetta Dio e le religioni. Uno Stato laicista è uno Stato che priva l'uomo di Dio e di ogni spiritualità. Lo Stato laicista impedisce alla donna islamica il velo; lo Stato laico, nel rispetto delle regole della scuola pubblica, consente di indossare il velo o di esporre il crocifisso in un'aula scolastica».
Ma non consente i matrimoni gay...
«Il tema della legislazione spagnola esprime un malinteso concetto di tutela della minoranza. Qui non si tratta di difendere il diritto degli omosessuali, che sono pienamente liberi di convivere. Si tratta di rispettare un concetto di famiglia che non deriva da un'impostazione clericale o teologica: si tratta di diritto naturale, del fatto che un uomo e una donna si mettono assieme e fanno un figlio; due uomini non possono. È più forte il diritto di due persone dello stesso sesso di avere un figlio, garantito da una legge egoistica, o il diritto di un figlio ad avere un padre e una madre? Io tutelo il minore, tutelo chi è più debole, non si può difendere e vuole un papà e una mamma».
Prodi, che è favorevole alle unioni gay, si dichiara un cattolico adulto. Lei che tipo di cattolico è?
«Non è un problema di esibizione del proprio cattolicesimo. Prodi ha fatto delle scelte: le rispetto, ma non le condivido. Nel suo partito molti altri hanno fatto altre scelte; il 75 per cento degli italiani che non è andato a votare al referendum, gran parte per convinzione, ha fatto una scelta che condivido».
Prodi critica la riforma costituzionale del centrodestra dicendo che è una riforma dittatoriale. Lei cosa ne dice?
«Io non do giudizi su una riforma che è molto contestata e che, sinceramente, suscita qualche perplessità anche in me, non tanto per la parte del federalismo quanto per la forma di Stato e di governo. Mi sembra però singolare questa obiezione di Prodi, quando poi chiede di firmare una sorta di contratto notarile con i partiti della sua coalizione per avere gli stessi poteri che questa riforma riconosce al premier».
Il terrorismo islamico ha rilanciato il timore di una guerra di religione. Vede questo rischio?
«Non possiamo cadere nella trappola dei terroristi, di chi ritiene che vada alimentata una guerra fra religioni. Dobbiamo accettare la coesistenza tra razze, religioni, culture diverse nella nostra società, perché non possiamo pensare di mettere dei muri che circondano l'Italia. Nel momento in cui ci apriamo agli altri, dobbiamo avere ben chiara la questione della nostra identità. Il mancato riferimento delle origini giudaico-cristiane dell'Europa nella Costituzione europea è stato un fatto grave, perché se devi dialogare con gli altri, devi sapere chi sei. Se il dialogo si trasforma in cedimento culturale, allora per la nostra società non c'è futuro».
Ma come si fa a isolare la parte di Islam integralista, per dialogare con quella moderata?
«Personalmente sono per il diritto di cittadinanza agli extracomunitari, quelli che sono in Italia, che lavorano, che si sono integrati, che sono nati nel nostro territorio. Sono per aprire la legge sulla cittadinanza anche al principio dello ius soli accanto a quello dello ius sanguinis. È un atto coraggioso, ma dobbiamo avere le idee chiare: mano inflessibile, linea dura contro chi delinque, contro chi non viene in Italia nel pieno rispetto delle nostre regole; ma anche grande accoglienza per chi invece cerca onestamente le sue opportunità sul nostro territorio. Questa, in fondo, è la grande regola che contraddistingue la società americana».
Quindi espulsioni più facili per chi delinque?
«Guardi, prima ancora che stabilire nuove regole, applichiamo e rendiamo applicabili quelle che ci sono. Le leggi approvate sono sufficienti. Forse un eccesso di burocrazia ne rende farraginosa l'applicazione».
Lei ha fatto un accenno alla riforma costituzionale, che include il federalismo, ma l'Udc ha criticato aspramente la riforma. La pensa come Follini?
«Personalmente l'ho sempre detto: ritengo che la parte migliore della riforma sia proprio quella sul federalismo, che interviene sulle modifiche fatte dal centrosinistra al Titolo V della Costituzione».
Quanto manca la figura di Umberto Bossi in questo Parlamento?
«Manca perché determina un protagonismo ancora maggiore della Lega e a volte la difficoltà di conciliare la loro spinta identitaria con il resto della coalizione. Di Bossi ho grande stima: è un politico di grande intuitività. Bisogna riconoscere una cosa: l'alleanza del Polo con la Lega è stata importante, perché ha evitato che una formazione con quei caratteri avesse una deriva estremistica.

L'estremismo a volte rimane, ma solo a parole».

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