Il caso della baby sitter irregolare: le carte che imbarazzano la Melandri

Per due volte la sua famiglia tentò invano di sanare la situazione della «tata» moldava

Il caso della baby sitter irregolare: le carte che imbarazzano la Melandri

Stefano Vladovich

da Roma

Quando il marito di Giovanna Melandri s’è sobbarcato otto ore di fila all’ufficio postale di piazza Mazzini, non era la prima volta che il neo-ministro della Quercia tentava di mettere in regola la clandestina moldava fermata nei giorni scorsi e portata per direttissima al Cpt di Ponte Galeria, in attesa di essere rimpatriata. Addosso a Tamara G., 41enne di Chisinau, i due agenti della Polaria che l’hanno fermata lo scorso 4 maggio davanti al Museo delle Navi di Fiumicino, in auto con un amico italiano per recarsi a prendere un gelato, hanno trovato infatti documentazione in abbondanza per capire chi fosse e da dove venisse quella clandestina che alla richiesta di fornire un domicilio ha risposto di bussare a casa Melandri. Non solo: davanti alla Polizia, la donna si sarebbe spinta a dichiarare di lavorare per l’esponente diessina.
Di certo c’è che Tamara G. con sé aveva di tutto, fuorché il permesso di soggiorno: aveva copia della dichiarazione dei redditi di Giovanna Melandri, copia del passaporto del ministro, e soprattutto copia di una precedente richiesta di regolarizzazione datata febbraio 2005, evidentemente non andata a buon fine fors’anche a causa del precedente decreto di espulsione emesso nel 2001 a carico di Tamara indicata allora col cognome di suo marito. Ma tant’è. Le mansioni indicate nelle due proposte di contratto di soggiorno per lavoro subordinato coincidono: qualifica «collaboratrice domestica», mansione «pulizia casa», è scritto nelle carte a firma Giovanna Melandri. A cambiare è la proposta di stipendio: 555 euro netti per 30 ore settimanali oltre un anno fa, 500 euro lordi per 25 ore settimanali nell’ultima pratica. Più l’eventuale alloggio, ovviamente, concesso a titolo gratuito in casa del datore di lavoro. E diversa è pure la residenza moldava indicata nei moduli: nel 2005 la capitale Chisinau (senza specificazione di via, civico e numero di telefono); nella successiva richiesta, un villaggio che comincia per zeta.
La vicenda, come riportato ieri dal Giornale, rischia di finire in mano a un magistrato. Non solo a causa delle affermazioni della clandestina, che davanti agli agenti avrebbe indicato il suo domicilio in casa Melandri. Ma anche a causa delle dichiarazioni rilasciate un paio di giorni fa dal neo-ministro, che dopo aver raccontato l’incontro con Tamara G. tramite un’associazione, ha specificato: «Mi ha fatto un’ottima impressione, al punto che sarei stata pronta ad affidarle mia figlia. Ma c’era quel problema, era senza permesso di soggiorno. Quindi patti chiari, le ho detto: prima facciamo i documenti e poi vieni a lavorare da noi». Affermazioni che avevano attirato l’attenzione degli agenti poiché, al di là dell’eventuale prova che la moldava vivesse o meno in casa Melandri, potrebbero attestare la consapevolezza, da parte del neo-ministro, che la clandestina si trovava in territorio italiano prima ancora che la domanda di regolarizzazione venisse presentata. Di qui l’ipotesi, non esclusa dagli investigatori, di una denuncia in Procura per violazione della normativa sull’immigrazione. Qualora venisse dimostrato che Tamara G. viveva in casa del ministro Melandri, ragionano gli addetti ai lavori, potrebbe configurarsi l’ipotesi di reato di favoreggiamento della permanenza di stranieri immigrati clandestini sul territorio dello Stato. «Peggio ancora sarebbe – chiosa una fonte investigativa – se a ciò dovesse aggiungersi l’esistenza di un rapporto di lavoro irregolare». Circostanza che il ministro nei giorni scorsi ha di fatto negato parlando del «patto» con la moldava: «Prima i documenti, poi il lavoro».
Ma l’esistenza di una precedente richiesta di regolarizzazione, datata febbraio 2005, complica la situazione. Quando la Melandri nega l’ipotesi di aver ospitato una clandestina («ma figurarsi – ha detto giorni fa al Corriere della Sera - ho solo cercato di metterla in regola») a quale tentativo di regolarizzazione si riferisce? A quello più recente, come sembra suggerire il tono complessivo delle sue dichiarazioni, o a quello di oltre un anno fa? Cosa ha fatto Tamara G. in questi quindici mesi, mentre la sua aspirante datrice di lavoro, in cerca di una «tata», cercava di regolarizzare la sua posizione? È rimasta da clandestina sul territorio italiano? E la Melandri, sapeva dov’era? E ancora.

Perché la donna portava con sé copia delle richieste di regolarizzazione firmate dal neo-ministro con tanto di fotocopia della dichiarazione dei redditi e del passaporto dell’esponente Ds? È normale che ne fosse in possesso? Sono gli interrogativi su cui stanno ragionando in queste ore gli uomini della Polizia. Che non escludono ulteriori sviluppi.

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