Il caso «Il Fatto» chiama, la Bongiorno media, Fini si muove

TIMORI Il giornale di Travaglio ricorda al presidente la sua promessa: mi farò processare Il rischio è il linciaggio-stampa

Il caso «Il Fatto» chiama, la Bongiorno media, Fini si muove

RomaStavolta, a pensar male, forse si sbaglia. Come dire: è inverosimile che a manovrare i fili sia stato Gianfranco Fini in carne ed ossa. Sarebbe stato folle infierire proprio adesso su Silvio Berlusconi, dopo una sudata tregua armata, siglata a fatica con il Cavaliere in questione, e soprattutto a pochi giorni dalla delicata pronuncia della Corte costituzionale. La cui decisione sul Lodo Alfano potrebbe far mutare non poco gli equilibri del Palazzo. Detto questo, la scelta di rinunciare allo scudo, che gli spetta in quanto terza carica dello Stato, preannunciata già lo scorso anno («non mi avvarrò della sospensione»), qualche strascico in giro lo lascia. Anche se i mugugni del premier pare siano rientrati.
I fatti sono piuttosti noti. E la domanda chiave che circola è questa: come è possibile che un fascicolo ricicci fuori dal cassetto proprio adesso? Come si spiega quindi che il procedimento - querela per diffamazione presentata da Henry John Woodcock, per alcune affermazioni pronunciate da Fini nel 2006, a seguito dell’inchiesta del pm su ex moglie (Daniela Di Sotto), segretario particolare (Francesco Proietti) e portavoce (Salvatore Sottile) dell’attuale presidente della Camera - impieghi sedici mesi per saltare fuori? Mistero, anche se c’è chi fa notare la «tempestività» di «alcuni magistrati».
Di certo, però, ci pensa il Fatto quotidiano a stuzzicare, sembra, l’accelerazione della pratica, adesso archiviata, visto che Woodcock alla fine ha ritirato la querela. È infatti il quotidiano di Antonio Padellaro, raccontano, ad aver chiesto di continuo notizie sul procedimento da spedire alla Camera. E non a caso, il 29 settembre, titola così - tra l’ironico e il provocatorio - un articolo di Marco Lillo: «Fini non riesce a farsi processare».
Nello staff dell’inquilino di Montecitorio non si perde tempo, si cerca subito di correre ai ripari. «E di mediare», spiega un finiano. Comunque sia, si fa di tutto per evitare che il Fatto cominici a prendere di mira il capo, sparando magari ogni giorno a tutta pagina sulla promessa disattesa. Così, 24 ore dopo, tocca a Giulia Bongiorno, legale di Fini, richiedere la rinuncia allo scudo, affinché il suo cliente venga processato come un cittadino normale.
Passano due giorni e, mentre il giornale in questione è già in edicola dal mattino con l’anticipazione («Fini rinuncia al Lodo e Berlusconi è più solo», si legge a pagina 2), a metà mattinata le agenzie diffondono la notizia. Poche ore dopo («un po’ pochine, sembra una mossa concordata», è il dubbio che si raccoglie), Woodcock quasi si commuove. E annuncia all’Ansa di «rimettere la querela», perché Fini «ha mostrato leale collaborazione tra istituzioni e, soprattutto, fiducia nell’azione della magistratura». Insomma, il pubblico ministero «capisce al volo cosa deve fare», scrive sempre Lillo, ieri, in un articolo titolato «Lodo per bene».

«È la perfetta chiusura del cerchio», commenta il solito parlamentare maligno, convinto che «alla fine dei conti, ne escono tutti bene». In ogni caso, per il Fatto, «la bella stretta di mano simbolica» tra i due «isola ancora di più Berlusconi e lascia ben sperare per la decisione» della Consulta. Inutile chiedersi quale sia l’auspicio.

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