Caso Fortugno, duello Bindi-Loiero Margherita in crisi sulla Calabria

Il ministro: «Non accetto lezioni da chi ha cambiato casacca 7 volte»

Emanuela Fontana

da Roma

Un omicidio, due presunti mandanti vicini alla Margherita, una crisi interna ai Dl, e ora uno scontro frontale tra il governatore della Calabria, Agazio Loiero, e il ministro delle Politiche per la famiglia Rosy Bindi. In più, un attacco della stessa Bindi a quello che dovrebbe essere un quotidiano amico, la Repubblica. La Calabria e il «caso Fortugno», il vicepresidnete della Calabria ucciso a Locri il giorno delle primarie dell’Unione dello scorso ottobre, sono ormai la spina nel fianco del partito di Francesco Rutelli, soprattutto dopo un’aspra polemica tra il governatore, fuoriuscito dalla Margherita, e il ministro.
Tutto è partito dall’arresto delle due sospette menti del «delitto delle primarie», Alessandro e Giuseppe Marcianò, padre e figlio. Giuseppe Marcianò ha lavorato nella segreteria del consigliere della Margherita Domenico Crea, che ha preso in consiglio il posto di Fortugno come primo dei non eletti del partito. Il legame con gli arrestati ha fatto sì che la posizione dello stesso Crea si sia aggravata. Per ora non a livello penale, perché non è indagato, ma certamente sul piano politico. Loiero in un’intervista gli ha chiesto esplicitamente di dimettersi, e non è il solo a invocare questa soluzione. Ma la Bindi lo ha messo a tacere: «Da quale pulpito viene la predica...», lo ha apostrofato, in riferimento ad alcune dichiarazioni di Loiero in quella conversazione giornalistica.
Il governatore ieri è passato al contrattacco: «Chiedo al ministro Rosy Bindi, anzi la sfido pubblicamente, a chiarire cosa intendesse affermare quando, riferendosi alla mia persona, ha detto “da che pulpito viene la predica”». Loiero rivendica in una dichiarazione ufficiale che la sua vita «è stata ed è sotto gli occhi di tutti ed è diventata rischiosissima proprio per affermare, come i cittadini calabresi sanno, valori di legalità e di trasparenza in una regione che ne ha immensamente bisogno». Ognuno può stare «sul carro che vuole», aggiunge Loiero, e «il ministro Rosy Bindi può scegliere liberamente da che parte stare, ma trovo alquanto singolare che, proprio quando si avvia una riflessione critica sui criteri che hanno portato alle candidature regionali, lei scelga una linea opposta pur di dare addosso a Loiero».
E Rosy Bindi accetta «la sfida», con pronta risposta. Su Crea «devono intervenire la Margherita calabrese e la magistratura». Ma, aggiunge, «non accetto lezioni sui mali del trasformismo in politica da chi, come il presidente della Calabria, ne ha fatto un uso disinvolto, cambiando casacca almeno sette volte». Il ministro Bindi però non si ferma qui. Oggetto del suo attacco non è solo Loiero, ma anche Repubblica, a cui ha inviato una lettera, indirizzata al direttore Ezio Mauro, per protestare contro il titolo riferito alle sue dichiarazioni (Omicidio Fortugno, la Bindi difende Crea, ndr), definito «del tutto arbitrario, falso e inaccettabile». Il titolo «estrapola un commento sul presidente Loiero ignorando il resto del mio ragionamento. È un’intollerabile strumentalizzazione». Il ministro si dice «sconcertata e profondamente indignata». Arriva infine la controreplica di Loiero: «Prendo atto con piacere che il ministro Rosy Bindi è stata equivocata, che non voleva difendere il consigliere regionale Domenico Crea e che, sull’argomento, la sua posizione non si discosta dalla mia e da quella del suo partito in regione».
Intanto il consigliere Crea è definitivamente scaricato dal governo di centrosinistra. Ieri il viceministro dell’Interno Marco Minniti (Ds) si è associato alle richieste di Loiero e del presidente del consiglio regionale, Giuseppe Bova, per una sospensione del consigliere, un atto che sarebbe anche per lo stesso Crea, spiega Minniti, «un elemeno di garanzia».


La vedova di Francesco Fortugno, Mariagrazia Laganà, deputata dell’Ulivo, non fa nomi ma punta l’indice contro la politica: dall’indagine sul delitto del 16 ottobre a Locri emerge «lo spaccato di intrecci politico-mafiosi» e si conferma «la causale politica» dell’omicidio.

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