Caso Galardo La famiglia si oppone all’archiviazione

Caso Galardo: la Procura di Firenze chiede l’archiviazione, la famiglia del presunto omicida-suicida non ci sta. E con loro il deputato radicale Rita Bernardini che ha presentato un’interrogazione parlamentare. Dieci anni di errori e misteri, insomma, sulla morte di Paolo Galardo, il brigadiere dei carabinieri di 21 anni di Fondi, in servizio a Lastra a Signa, accecato dalla gelosia a tal punto da uccidere con la pistola d’ordinanza la fidanzata Lucia e la sua amica Gemma, 18 anni, prima di spararsi alla tempia. Una ricostruzione dei fatti a dir poco sommaria che non convince. A cominciare dall’assenza della prova stub sul presunto assassino (una dimenticanza?), alle perizie balistiche e alle autopsie mai eseguite, fino al «dirottamento» dell’arma del duplice delitto, paradossalmente riassegnata a un altro carabiniere il giorno dopo il dramma. A riaprire il fascicolo ci pensa il gip Elisabetta Improta nel 2002 ordinando la riesumazione dei cadaveri. Fra le tante cose che non quadrano i fori di proiettile sui corpi e i bossoli della calibro 9 di Galardo. L’elenco delle stranezze per un’inchiesta chiusa fin troppo frettolosamente le sottolinea il criminologo Francesco Bruno in un dossier. Paolo, del resto, stava indagando su un grosso traffico di droga. L’aveva raccontato al telefono: «Papà», disse «ho scoperto fatti gravi. Adesso non posso parlare». «Paolo si era accorto di strani movimenti - racconta Edipo Galardo -. Il suo diretto superiore gli chiese di lavorarci ma di non farne parola con nessuno. Proprio in quei giorni il figlio del maresciallo e un altro carabiniere erano stati condannati per rapina ed estorsione. Otto giorni prima della morte Paolo aveva ricevuto minacce». Passano altri 7 anni, la Procura toscana non trova elementi utili per iscrivere alcuno nel registro degli indagati. Venerdì la nuova richiesta di archiviazione proposta dal procuratore aggiunto Francesco Fleury.
Ma cosa accadde, esattamente, in casa di Lucia Manetti, la fidanzata 17enne, la sera del primo novembre ’98? Sono le 20.30. Il padre di Lucia sente gridare la figlia dalla sala-hobby. L’uomo si affaccia e sente dei colpi in rapida successione. Si precipita al piano terra e trova Lucia insanguinata. Arriva Renato Francione, un vicino. «Una volta entrato - spiega - noto un giovane supino con le gambe rivolte verso l’ingresso; sul pavimento una pistola calibro 9 senza caricatore. Sulla destra il corpo senza vita di un’altra ragazza». Ma dalle foto scattate dagli inquirenti si vede la pistola con il caricatore inserito. Un giallo nel giallo: Galardo avrebbe preso in dotazione l’arma del delitto il 14 marzo ’98 come scrive nel suo diario. A un esame grafologico, però, si scopre che la calligrafia non è la sua. Chi voleva assegnare all’omocida un’arma diversa dalla propria?
Il professor Bruno ipotizza la presenza di un quarto uomo: «Un assassino - scrive - che avrebbe ucciso le due ragazze e Paolo simulando il suo suicidio».

Fra gli elementi da chiarire l’incompatibilità fra i 6 bossoli rinvenuti sulla scena (subito dissequestrati) e i fori di entrata, 9 secondo il medico legale. Troppe cose non quadrano, troppi interrogativi senza risposta.

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