Caso Ruby, un circo tv La sveltina giudiziaria è un'udienza di 9 minuti

Oltre cento giornalisti accreditati e grande attesa mondiale: tutto per un’udienza di 9 minuti. Ruby gela la Boccassini e non si costituisce parte civile: "Rovinata dai giornali, non da Silvio"

Caso Ruby, un circo tv 
La sveltina giudiziaria 
è un'udienza di 9 minuti

Collegatevi in diretta col processo che non c’è.Nove minuti e cinquanta secon­di: si comincia, si finisce. Non c’è fatto, non c’è sto­ria. C’è solo un posto sul marciapiede della leggen­da: prego, sgomitate per la ripresa migliore sul nulla. Perché secondo le tv di tut­to il mondo lì di fronte al tri­bunale di Milano ieri si sa­rebbe compiuto il mito. Vai con la linea: «Buo­nas... ». Stop. Il processo brevissimo. La sveltina giu­diziaria. Il dibattimento sarà lungo, estenuante, infinito come tutto quello che avviene in un’aula di giustizia italia­na. Ci saranno udienze, bu­rocrazia, rinvii, carte bollate. Ieri no. Lo sapevano tutti. Però hanno disegnato il proprio spazietto con vista tribunale per sentirsi parte di una vicenda che sa di mito. Non c’era Berlusconi,non c’era Ruby rimbalzata da chissà dove con la frase del giorno: «Non mi ha rovinato il presidente del Consiglio, ma i giornali».

C’erano le carte, la Boccassini, gli avvocati e quattro formalità da eseguire: nove minuti e cinquanta secondi. Ci vediamo tra due mesi, forse. Le telecamere, le parabole, i microfoni, i riflettori rimarranno fuori dal tribunale di Milano per sessanta giorni? Sono arrivati da tutto il mondo: abbiamo visto canadesi, spagnoli, finlandesi, russi, francesi,inglesi,australiani,svizzeri. Centoundici accredidati. Più decine di non accreditati che vagavano fuori dal Palazzo di Giustizia: plotoni d’esecuzionedi una storia che giornalisticamente ieri era il nulla mescolato col niente. Nulla da raccontare se non l’autoalimentazione del circo mediatico, il convincimento che essere tutti lì in quel momento crea anche la notizia che non c’è. Perché il retropensiero vale di più: ci sono i giornalisti di tutto il mondo, vuol dire che la storia è buona. Ma buona a che? Buona a chi?

Le parabole puntate, i collegamenti in diretta, le fly di tutti i network, i camioncini con le regie mobili dicono che non serve la realtà per documentare una storia. Bisogna esserci, come se la presenza sia più notizia delle notizie vere. E l’unica notizia di ieri è che non c’erano notizie. Però il mondo s’è collegato con Milano: «Prendiamo la linea dal tribunale». Prendetela e tenetevela. Perché questa è fiction. Informazione? Cronaca? Questo è un circo che assomiglia di più a un set di un film. Perché arrivano da tutto il mondo a spiegare un’Italia che non conoscono e che pretendono di raccontare. «Ma ce la faccio in un quarto d’ora ad andare a Milano 2?». Parla una reporter olandese arrivata convinta di avere le risposte. Aspetta indicazioni: ma perché deve andare a Milano 2? «Voglio fare un servizio sul mondo di Berlusconi. Voglio riprendere la gente che mi respinge perché non vuole parlare di lui. Voglio vedere l’Italia che è cresciuta a pane e Fininvest».

Ci metterà più di mezz’ora ad arrivare e troverà quello che non si aspetta: un posto normale, abitato da gente normale. Manderà in onda un servizio, forse. Sarà delusa di sé o dell’Italia che non le dà soddisfazione. Dev’essere un’amarezza atroce sapere che non c’è né la storia che si compie, né il mondo che cambia. I giornalisti stranieri sono arrivati armati di tecnologie e pregiudizi. Dall’Australia,via Asia,arrivano convinti che le telecamere possano e debbano entrare in aula. «Perché non si può riprendere? », chiedono. Ha deciso il giudice. Lo può fare e lo fanno anche tutti i tribunali anglosassoni. Mai visto i disegnatori che riproducono i personaggi di un processo? C’hanno fatto film,documentari, reportage. Nei dibattimenti così delicati non si entra. Punto.

Ma qui c’è un’armata di reporter che hanno pochi dubbi e troppe verità. Parlano tra di loro, si convincono, si spalleggiano. Ti chiedono se la sentenza arriverà in giornata e lo chiedono quando i nove minuti e cinquanta secondi sono passati da mezza giornata. Lo stand up infinito dal marciapiede dove si compie una storia che non c’è li ha confusi. Oppure non sanno. Oppure non vogliono sapere. Perché non c’è da raccontare quello che accade davvero, ma quello che loro sperano accada.C’è pure Al Jazeera. Barbara Serra è il suo volto e parla: «Ritengo che questa vicenda vada raccontata. Vale oro colato: ci sono i soldi, il potere e il sesso e poi accade tutto in Italia». Sì, ma la notizia di ieri? Un processo che dura nove minuti e cinquanta secondi per poi riprendere tra due mesi con un’altra udienza di rito.Ci saranno le eccezioni, le richieste delle parti, i convenevoli. Le parabole saranno collegate ogni volta senza una storia. Where’s the beef ?, dicono spesso i giornalisti anglosassoni. Dov’è la ciccia? Se non c’è,non scrivono.Se non c’è non parlano.

Qui ci sarà un giorno. Fino ad allora, però, qui i cronisti faranno domande ad altri cronisti. Si parleranno addosso.

Convinti di raccontare ai loro telespettatori una epopea processuale, racconteranno, invece, la loro illusione di documentare la storia. Fermi davanti a un palazzo coi riflettori accesi, con il mondo che li guarderà e dirà solo: embè?

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