La Cassazione: «Rimbambito in politica si può dire»

Darsi del «rimbambito» tra politici avversari, non è reato. Specie se l’epiteto è proferito dopo una estenuante opera di mediazione che sta per essere messa in discussione da una mozione tardivamente presentata. Lo sottolinea la Cassazione che ha assolto Alberto Tognoni, sindaco di un piccolo comune spezzino, Castelnuovo Magra, condannato in secondo grado a risarcire i danni a un consigliere della sua giunta al quale aveva detto «lei è il solito rimbambito». Tognoni era uscito dai gangheri - durante la seduta del 26 marzo 1999 - e si era lasciato andare all’improperio nel momento in cui il consigliere d’opposizione Ino Cecchinelli annunciò la presentazione di una sua mozione sulla guerra del Kosovo. Il sindaco era appena riuscito, dopo una lunga maratona diplomatica, a convincere tutto il consiglio a votare un documento unitario sul conflitto balcanico. Con successo in Cassazione, Tognoni - condannato dalla Corte di Appello di Genova nel maggio 2007, dopo l’assoluzione di primo grado - ha sostenuto che l’espressione «rimbambito, usata come indicativa della perdita della capacità di ragionare» era una legittima critica politica di fronte a un atto che «appariva provocatorio».

La Suprema Corte - con la sentenza numero 38747 - gli ha dato ragione rilevando che «il linguaggio della polemica politica può assumere toni più pungenti e incisivi rispetto a quelli comunemente adoperati nei rapporti tra privati così che espressioni, riferite a personali connotazioni intellettuali, perdono una connotazione offensiva se utilizzate nell’ambito della polemica tra contrapposte posizioni politiche».

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