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Catturare Parmalat passando per Galbani

L’idea, sul tavolo di tre banche, è di utilizzare il produttore di formaggi per lanciare l’Opa su Collecchio. Il ruolo di Micheli

Nicola Porro

da Milano

C’è una doppia veste, o se si vuole parte in commedia, delle banche sulla vicenda Parmalat. Da un lato la contestazione alle cause «monstre» messe in piedi da Enrico Bondi. È di ieri la notizia, rilanciata da Radiocor, di un possibile ricorso internazionale. Dall’altro lato, più segreto, il tentativo di portare a casa quella che si avvia a essere la più redditizia società alimentare italiana: senza debiti e con un margine operativo intorno ai 300 milioni l’anno. Su questo fronte a partire per prima è stata Banca Intesa. Insieme alla Granarolo aveva studiato un’operazione interessante che permetteva, con una complessa struttura finanziaria, l’acquisto disgiunto degli asset industriali dalle possibili attività derivanti dalle cause in corso. L’operazione è saltata. I conti di Granarolo con tutta probabilità chiuderanno il 2005 con margini pari a un sesto della Parmalat e della metà inferiori a quanto promesso sul mercato. Nestlé e Lactalis restano alla finestra. Anche per le prudenze nazionaliste che percorrono l’Europa.
Per Parmalat, almeno tre banche di cui una italiana stanno così cercando una soluzione domestica che passi per un grande marchio del made in Italy: Galbani. Il produttore del Belpaese è messo in vendita, dal fondo che la controlla. L’asta, gestita da Deutsche Bank, parte da valorizzazioni altissime: più di un miliardo. Chi conquista Galbani riapre i giochi per Parmalat. Insomma banche e finanziatori (tra cui Francesco Micheli che ha una cassa di guerra di almeno 500 milioni) sanno che l’integrazione tra Galbani e Parmalat sarebbe industrialmente fantastica: il latte della prima arriverebbe da Collecchio invece che dalla francese Danone e i prodotti del freddo si integrerebbero alla perfezione. Per questo il fondo che vende Galbani ha alzato il prezzo. L’equazione è semplice.

Parmalat non resterà da sola, e con un azionariato così sparpagliato prima o poi qualcuno la scala. L’operazione è necessario che abbia un cuore industriale. Se italiano ancor meglio. «Galbani for sale», dunque. Tutti in fila. Chi passa per Galbani, ha fiducia in Collecchio.

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