Una volta irregimentata nell'esercito zarista la casta guerriera dei Cosacchi diventa protagonista di secoli di storia russa. Sono loro a martoriare l'armata napoleonica, quando il generale corso mette a repentaglio il suo futuro invadendo l'immenso Paese. Inseguendo la Grande Armée arrivano a Parigi e, per una parata, perfino a Londra.
In Francia, secondo la tradizione popolare (che non sembra però confermata dagli studiosi), lasciano il nome bistrot, con cui viene designata la tipica osteria parigina. Il termine deriverebbe dal russo «bistro» (presto, alla svelta), urlato dagli impazienti cosacchi mentre aspettano di essere serviti nelle mescite di vino per le strade della capitale.
Nel corso dell'Ottocento, sparsi in insediamenti disseminati un po' in tutto il Paese, dalle rive del Terek, al Volga, fino agli Urali, sono la punta di lancia dell'espansionismo imperiale russo nel Caucaso. L'epopea è raccontata da un racconto, «I cosacchi» di Tolstoj, che serve per qualche tempo come ufficiale in uno dei loro reparti. Sempre loro sono i protagonisti dell'espansione nell'Asia centrale, il «Grande Gioco» che vede contrapposta la Russia all'Impero britannico. «Presto i cosacchi faranno abbeverare i loro cavalli sulle rive dell'Indo», si dice allora alla corte delle zar. Non sarà proprio così, ma quasi.
Più tardi, nel 1905, saranno i cavalieri cosacchi i protagonisti della cosiddetta domenica di sangue: sono tra i reparti che a San Pietroburgo aprono il fuoco contro una manifestazione pacifica di dimostranti disarmati diretti al Palazzo d'Inverno per presentare una supplica allo zar Nicola II.
È una strage che ha conseguenze politiche importanti: per la prima volta il popolo russo perde la fede nel suo zar. La strada per la rivoluzione del 1905, con la rivolta della corazzata Potëmkin e la nascita dei soviet, è aperta.
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