«Il Cenacolo? Sta bene, ma che fatica...»

Al ritmo di mille visitatori al giorno, la polvere è oggi, a dieci anni dalla fine dei restauri, il più grande nemico dell'Ultima cena di Leonardo Da Vinci in Santa Maria delle Grazie a Milano. Il sistema di protezione abbatte le polveri fino all'ottanta per cento, ma non basta. Per questo, ogni anno viene effettuata una spolveratura, che garantisce quel «miracolo» che Giuseppina «Pinin» Brambilla Barcilon, la restauratrice e imprenditrice artigiana oggi 83enne che ha dato vent'anni della propria vita alla «resurrezione» del Cenacolo, ha saputo operare. In un convegno durato l'intera giornata a Palazzo delle Stelline, promosso dal ministero per i Beni e le attività culturali e organizzato dalla Direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici, dalla Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici e da quella per i Beni storici artistici ed etnoantropologici di Milano, la Brambilla ha ripercorso quella conquista centimetro per centimetro. Le abbiamo chiesto il suo bilancio, oggi, sul lavoro compiuto.
«Positivo. Oggi il dipinto sta bene. Rifarei tutto così come ho fatto. Compresa la fatica che ho fatto. E che nessuno certamente avrà mai il coraggio di rifare».
Il nemico più duro da sconfiggere per recuperare l'originale?
«I restauri del passato. Capire quel che bisognava o non bisognava togliere, perché sotto non c'era nulla. Levare le croste, tenaci, molto tenaci. E lavorare un pezzetto alla volta».
In che modo?
«Non si poteva pulirlo tutto in una volta, ma nemmeno lasciare una fase a metà. Se si cominciava un viso, bisognava finirlo e restituirlo subito. Un approccio molto inusuale, che ha richiesto dedizione totale. Prendere un frammento di carta giapponese, posarlo sopra una piccola parte, imbibirla di solvente, lasciarla pochissimo tempo sulla zona e via così, magari anche due volte, fino alla pulitura del frammento. E non sempre si è potuto usare il solvente, a volte ho dovuto procedere con bisturi e microscopio».
Bastoni tra le ruote?
«Le polemiche che, essendo io una persona costante che non dà retta a nessuno, ho scavalcato. E poi lavorare a porte aperte. Una tortura».


Che accadeva?
«Il rumore assordante, le scolaresche irriducibili, la televisione, la gente che mi diceva: "Si sposti, che non vedo Giovanni Battista!" E' stata dura».
Le porta ora le vorrebbe chiuse.
«Il pubblico durante un restauro deve restare fuori».

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