da Roma
Alla Eagle, che distribuisce Apocalypto, gongolano. Tutta promozione insperata, pure gratis. Se ne deve essere accorto anche Rutelli, il quale adesso auspica: «È bene che giudichi il pubblico. Abbiamo fatto sin troppa pubblicità al film». Naturalmente, il ministro, con piglio decisionista, annuncia cambiamenti in materia di censura - anzi revisione - cinematografica. «Ho convocato per lunedì una riunione per rivedere le norme sulle autorizzazioni dei film, che sono vecchie di 45 anni. Oggi le scene di violenza arrivano anche dalla tv, dai videogiochi, dai cartoni animati. Occorrono regole nuove».
Fino a maggio però, sempre che Rutelli non vari d'urgenza un decreto legge, restano operative le commissioni nominate dal precedente governo. Otto, composte da nove membri ciascuna, il che significa settantadue persone, tra «esperti di cultura cinematografica», «docenti di psicologia», «rappresentanti di categoria, dei genitori e degli animalisti». A scorrere i nomi, non mancano le sorprese: nella quinta, per esempio, in qualità di cine-esperto, resiste il deputato udc Francesco Pionati, nella terza l'attrice Clarissa Burt, nella seconda Solvi Stubing, che fu mitica testimonial di una birra. In questo tipo di commissioni, si sa, le persone vanno e vengono, in base allo spoyl-system. Il problema è: per fare cosa? Rutelli forse non sa, ma in materia di «tutela dei minori» il suo predecessore Urbani provò a fare qualcosa, fuori dalla contingenza legata a un film troppo audace o violento, senza atteggiamenti moralistici. Peccato che poi tutto si fermò, magari per il timore di evocare nuove strette censorie, seppure sotto forma di legittimi interventi in difesa dei minori.
Vero è che il progetto di riforma Urbani al quale si dedicò il tecnico Mario Torsello prevedeva l'attivazione del danno morale, con conseguente rimborso civile. Insomma, l'esercente come terminale della catena: a lui spetterebbe il compito di difendere il «rating» (la classificazione dei film), e se non lo fa, paga. Naturalmente bisogna decidere: una volta abolito l'anacronistico «visto di censura», senza il quale oggi un film non può uscire, chi deciderà se una pellicola può essere per tutti o no? Le attuali commissioni di revisione non sembrano funzionare, divise come sono tra il ruolo soverchiante assunto dalle associazioni dei genitori, pronte a esercitare su alcuni temi caldi il diritto di veto, e gli evidenti interessi dei produttori, pronti a (quasi) tutto pur di evitare il divieto ai minori di 14 anni che li penalizza per la Tv. Prendendo a modello il sistema americano con i suoi cinque livelli, l'ex ministro lavorò a varie ipotesi di classificazione: un primo sbarramento a 8 anni e un secondo a 12, con o senza la presenza dei genitori, abolizione del divieto ai minori di 18 anni con abbassamento a 16.
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