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La cerimonia di insediamento

Il presidente giurerà con il suo nome per intero: Barack Hussein Obama. La cerimonia, che si svolgerà sulla scalinata di Capitol Hill, terrà gli americani incollati alla tv. A Washington si raduneranno più di due milioni di persone

La cerimonia di insediamento

Come fecero John Fitzgerald Kennedy e Franklin Delano Roosevelt arriverà a Washington in treno, da Chicago. Un viaggio lungo quello di Barack Obama, diviso in tappe, che toccherà diverse città per altrettanti bagni di folla. Sul Mall, l'immensa spianata che si trova alle spalle di Capitol Hill, ad acclamare il presidente ci sarà una moltitudine di persone, si parla di circa due milioni. Come i suoi predecessori Obama giurerà nelle mani del presidente della Corte Suprema. Accanto a lui il presidente George W. Bush. Un vero e proprio passaggio di consegne tra i due uomini. La cerimonia, che si svolgerà sulla scalinata di Capitol Hill, terrà gli americani incollati alla tv. Da tempo tutti gli hotel della capitale sono prenotati. Per avere una stanza in centro, a Washington D.C., qualcuno è arrivato a spendere anche tremila dollari a notte.

Il nome per intero
Obama arriverà a Washington la sera del 19. La mattina dopo, a mezzogiorno, inizierà la cerimonia. Il presidente giurerà con il suo nome per intero: Barack Hussein Obama. In campagna elettorale aveva scelto di evitare il terzo nome, Hussein, per non dare spago alle polemiche sulla sua presunta fede musulmana. Il giuramento, però, è unoccasione ottima "per ricostruire l’immagine degli Stati Uniti nel mondo, e in particolare nei paesi musulmani".

La banda
Per la prima volta nella storia ad aprire la parata della cerimonia di insediamento ci sarà una banda musicale composta solo da musicisti gay. Un segnale, questo, che vuole essere di "apertura" verso la comunità omosessuale. Ma ci sarà ampio spazio, come sempre, a marines, piloti e militari in genere. Da sempre l'orgoglio dell'America. 

Il discorso
Come nelle migliori tradizioni è ancora top secret. Dovrebbe contenere temi capaci di toccare le corde più sensibili degli americani: primo su tutti l'unità del Paese, dopo anni e anni di lacerazioni. "Noi siamo gli Stati Uniti", ha detto Obama a Chicago la notte della vittoria. È ciò che ripeterà a Washington il giorno in cui si concretizzerà il sogno del figlio di un ambizioso e colto immigrato del Kenia e di una giovane idealista del Kansas. Dopo aver conquistato il Paese con lo slogan "Yes we can", Obama si troverà davanti il duro compito di dare concretezza a quelle tre parole.

L'America in difficoltà, piena di ansia, ha bisogno di scrollarsi di dosso la paura e di tornare a guardare con fiducia il futuro.

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