Con Chailly «Ballo in maschera» di lusso

A pochi mesi dall’insediamento al Teatro dell’Opera, il direttore propone una splendida esecuzione verdiana con regia di Olmi e scene di Pomodoro

Alberto Cantù

da Lipsia

Distrutto durante la guerra, il Teatro dell’Opera di Lipsia venne ricostruito nel 1960 sulla stessa superficie, in Augustusplatz, di fronte al Gewandhaus, nel robusto stile neoclassico originario, con i 1500 posti del vecchio edificio e uno dei palcoscenici più grandi al mondo: una cittadella come a Salisburgo. L’Opera fu inaugurata con i Maestri cantori di Wagner e nel 2010, per i cinquant’anni del teatro, i Meistersinger torneranno a gareggiare.
Intanto c’è Riccardo Chailly che, a pochi mesi dall’insediamento a Lipsia, con una scalata vertiginosa si è piazzato secondo fra i «personaggi più noti» del 2005. Parola di Bild Zeitung, il foglio popolare che ha messo in testa ai big il sindaco uscente, Tiefensee, oggi ministro della Ricostruzione, e al numero tre, una mitica bacchetta che a Lipsia passò vent’anni: Kurt Masur.
Iniezioni di vita nell’orchestra, nuove esperienze teatrali, la grande tradizione italiana sono il «marchio» del titolo con cui il direttore milanese ha inaugurato la stagione operistica ricavando applausi a non finire e un tifo più da stadio che da melodramma: Verdi, Un ballo in maschera, la regia di un uomo di cinema - di grande cinema - quale Ermanno Olmi, scene e costumi nati da uno scultore di fama: Arnaldo Pomodoro. E il coro preparato da un «maestro dell’opera italiana», l’ex scaligero, oggi alla «Verdi», Romano Gandolfi che dà al finale compianto «Cor sì grande» il colore etereo d’un trapasso dolentissimo.
Un portale scultoreo si apre sulla vicenda e le geometriche composizioni con cui è istoriato le ritroveremo entro una architettonica foresta e in alcuni costumi-sculture: costumi a volte bellissimi (la strepitosa leggerezza umoristica delle maschere nel ballo), a volte discutibili (Amelia, la bella e brava Chiara Taigi, che sembra Biancaneve o una Bambola Lenci). Alla fine una grande cappa o crosta sferica rotante, rinserra, terribile, la tragedia.
Olmi evita ogni postura melodrammatica, ogni stereotipo tenorile. Ci sono così pochi movimenti ma studiatissimi (ore e ore di lavoro), carichi di comunicativa, «credibili».
Una bella lezione per i registi d’opera a tempo pieno. Chailly coglie stupendamente, con fervore e limpidezza mirabili, con la lunga campata verdiana, il cuore dell’opera. Vale a dire trapassi continui dal serio al comico che ora esaspera e ora gradua col bilancino.
Più spesso, all’interno d’una pagina, lavora di fino sui due opposti registri. Ha un’orchestra, quella del Gewandhaus che, da camaleonte, è ora un quintetto da camera («Ella è pura») ora una meravigliosa fuoriserie sinfonica, capace di furibondità rivelatrici - la modernità di Verdi - e di «a soli» da lasciare a bocca aperta.
La Taigi, impeccabile sul duplice versante lirico e drammatico, non è la solita Amelia piagnona: si fa personaggio dolente, trepido, sofferto, umanissimo.

Una meraviglia di tinte e sfumature risulta il Riccardo di Massimiliano Pisapia e di grande verità drammatica e vocale è, festeggiatissimo, il Renato di Franco Vassallo.
Troppo chiara l’Ulrica di Anna Maria Chiuri e vivace l’Oscar di Eun Yee You. Di assoluta eccellenza le seconde parti e i comprimari.
Si replica fino al 1° dicembre.

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